martedì 17 aprile 2012

Cesare deve morire. Bruto incontra gli studenti


Ieri mattina momento speciale al Cinema Farnese: Bruto è salito in cattedra. Si, avete letto bene, proprio quel Bruto, quello di Quoque tu, Brute, fili mi, esempio di vocativo della seconda declinazione, quello di Cesare, insomma. Perchè il film della matinèe era Cesare deve morire, dei fratelli Taviani, Orso d'oro all'ultimo festival di Berlino. E perchè in sala avevamo due ospiti d'eccezione: Giovanna Taviani e Salvatore Striano, cioè l'interprete di Bruto nel film. È stato davvero bello parlare del film insieme a Giovanna, che ci raccontato di un padre e uno zio che "pensano cinematograficamente". Ci ha spiegato della genesi del film, del modo in cui, attraverso la telefonata di un'amica, i fratelli Taviani hanno scoperto dell'esistenza del teatro realizzato in carcere, e dopo avervi assistito, hanno avuto l'idea per il film. Sollecitata dalle domande dei ragazzi, ci ha raccontato della scelta del bianco e nero e della loro passione per Shakespeare. Poi è stata la volta di Bruto.
Vi posso solo dire che alla fine del suo discorso avevo i lucciconi, non ho mai sentito parlare con tanta passione e sincerità di Shakespeare. Alla domanda su come è avvenuta la riscrittura del Giulio Cesare in dialetto, Bruto (lo chiamerò così, in questo post, non se ne abbia Salvatore!) ci ha detto che secondo lui Shakespeare ha scritto il suo teatro proprio perchè noi potessimo riscriverlo, trovando in esso riflessi della nostra vita, le nostre esperienze, i sentimenti. E Bruto ha esortato i ragazzi a fare tesoro di Shakespeare, ma della letteratura in generale, perchè dono prezioso per la vita, la crescita. Parola di uno che, come ha raccontato con sincerità ed equilibrio, a 14 anni vendeva sigarette di contrabbando. Insomma, con poche parole, con la propria testimonianza e verità, Salvatore ha reso manifesta ai ragazzi la loro condizione fortunata, e tutto il mare di possibilità che il contatto con l'arte, la letteratura, e lo studio in genere, può offrire per il loro formarsi. Salvatore/Bruto ha poi proposto di ridefinire la parola "stupido". Come si vede nel film, ci sono detenuti che definiscono "buffoni" quelli di loro che fanno teatro. Perchè quelli che non fanno, che non scelgono, sono sempre pronti a prendere in giro, a scoraggiare coloro che si impegnano. "Come a scuola. Non vi fate ingannare. Gli stupidi veri sono loro, ma se continueranno a chiamarvi tali, beh, signifca che stupido diventerà sinonimo di persona che si impegna, e allora voglio essere uno stupido anche io!" Tornando poi la racconto della vita in carcere, e commentando la frase con cui si chiude il film (Da quando conosco l'arte questa cella è diventata una prigione), Salvatore ha spiegato che secondo lui questa frase sta a significare che l'arte ha aiutato un percorso di consapevolezza dei detenuti, che sono passati da una condizione di lotta, di sopravvivenza, nel carcere, con gli altri, nella quotidianità dei rapporti e dei gesti, al "meritarsi la sofferenza". Perchè il ricordo e il rispetto delle vittime dei crimini che questi detenuti stanno scontando non deve mai essere dimenticato, da loro e dal pubblico. Ma questi attori speciali, che nei titoli di testa ci vengono presentati anche attraverso la condanna che stanno scontando, hanno la loro cella divenuta prigione a fare in modo che sia impossibile dimenticare.
E davanti a questo film e a queste testimonianze, gli studenti hanno risposto con quell'attenzione e quell'entusiasmo che danno ragione e soddisfazione a tutti gli sforzi e a tutto il lavoro che gli insegnanti e noi di Farnese CinemaLab cerchiamo di fare con loro attraverso il cinema.
Evviva!!