giovedì 24 maggio 2012

Sesto giorno a Cannes: in differita da Roma!

Il racconto dell'ultima giornata di Cannes ve lo scrivo dal divano di casa mia a Roma....ieri mattina, come detto, gli ultimi due film. Il primo è uno di quei film che si possono tranquillamente perdere. L'ho visto fino alla fine perchè ero incastrata nel mezzo di una fila di poltroncine, e sarebbe stato impossibile uscire, ma vi giuro che ho dovuto fare molta, ma molta pressione su me stessa per non urlare! So di essere impopolare, ma a suo tempo, quando lessi il libro (On the road di Kerouac, stesso titolo dato al film), ne rimasi insoddisfatta. Tanto rumore per nulla, pensai. Un libro manifesto di una generazione,  la vita on the road, il mito americano, del viaggio dall'est all'ovest...insomma, su di me non esercitarono alcun fascino particolare, ma ovviamente ero consapevole che il libro aveva avuto un significato ed un impatto diverso nel momento in cui era uscito. Beh, il film non è riuscito a farmi cambiare idea. Due ore e venti:troppo, posso resisterle solo se vedo un capolavoro come Faust! Mi venivano in mente solo le parole: inutile e noioso.
Dopo questa prova di resistenza, una breve pausa di 30 minuti, in cui ho avuto la divertente esperienza di ascoltare un musicista di strada, un violinista, che su Rue d'Antibes, una strada piena di eleganti vetrine, diffondeva le note di "Oh campagnola bella....": mi sono sentita a casa, l'Abruzzo in fiore anche a Cannes! E poi di nuovo in Sala Lumière a vedere l'ultimo film prima di partire: Holy Motors di Carax. Che dire? Non potevo concludere meglio. Io che scrivo durante i film, ho consumato mezzo taccuino! Surrealtà allo stato puro, un film che riesce a sorprendere, a divertire, a spiazzare, con grande maestria, rappresentando una sorta di summa di tanti temi, film, storie, anche presenti a Cannes. Si parte con la ripresa di una pubblico, in una sala cinematografica, come nella scena iniziale del film di Haneke (anche se lì eravamo in un auditorium). Ma qui abbiamo visto in precedenza cosa stanno guardando gli spettatori: un'immagine che ritroveremo alla fine di questo slalom speciale, fatto di rimandi, di situazioni, di rappresentazioni cinematografiche, di ironia all'ennesima potenza. E poi, come in Resnais, il teatro, la finzione, il camerino mobile. E via attraverso i set che ci vengono proposti, in incastri che ci conducono sulla soglia della comprensione, senza farcela mai afferrare davvero, strappandoci di mano le certezze e le verità di un nostro tentativo di inquadramento di una materia che si trasforma continuamente davanti ai nostri occhi. Con risultati sorprendenti. Sento già i commenti della mia amica Rosanna, quando e se vedrà il film, sulla sua incomprensibilità, ma, come le dico sempre, io adoro l'arte che suscita domande, curiosità, che ti fa lambiccare il cervello, lo stimola, ma non dà necessariamente risposte.  E allora formiamo un corteo che segue non il pifferaio magico, ma un manipolo di suonatori di fisarmonica, prenotiamo un soggiorno nella clinica Samaritaine, seguiamo l'uomo con la maschera da uomo ragno, lasciamoci trasportare dalle note di "Who where we..." cantata da Jean...e quando "the end is near..", sbrighiamoci, perchè "dobbiamo ridere prima di mezzanotte. Chissà se rideremo nella prossima vita".  Perchè "We would like to live again", ma nell'attesa, parcheggiamo alla Holy Motors!

martedì 22 maggio 2012

Sesto giorno da Cannes: è tornato il sole!


Niente sole, almeno in mattinata,  ma ancora tanto cinema! Il primo film della giornata è stato Operation Libertad, alla Quinzaine, un film che tocca un altro tema che ho trovato trasversalmente trattato in diversi film. Quello della rivoluzione, dell’attivismo politico, della lotta armata. Solo che in questo caso non parliamo dei caldi paesi del Sud America, ma della vicina Svizzera. 1978, un gruppo armato rivoluzionario decide di compiere un’azione per interrompere i depositi di denaro in banche svizzere  di un presunto collaboratore di Pinochet. E soprattutto di far riprendere tutto il loro operato da un collaboratore, che è poi la voce narrante del film. Ma il problema è che questo gruppo ha poche idee ma confuse, e soprattutto una goffaggine degna delle comiche, e quindi anche i momenti più drammatici si trasformano in farsa. Carino, godibile, ma un tantino forzato, soprattutto nel prologo e nell’epilogo. Dopo un rapido spostamento lungo la Croisette, giungo alla Sala Lumiere dove mi attende il film di Ken Loach. Che dire? Una boccata d’aria fresca, un po’ di risate non guastano, dopo tanto piangere. Una favola, perché tale si può definire la storia di Robert e dei suoi compagni di  lavori socialmente utili ,da effettuarsi a mo’ di pena da scontare per reati minori.  Alla ricerca della felicità, del riscatto, di una possibilità, che viene loro offerta dal whisky prodotto nella zona. Non c’è bisogno di sapere di più, per godere di questa storia a lieto fine, farcita di slang, gag, battute. E sono certa che si scatenerà la solita diatriba sul Ken Loach dell’impegno, dei tempi antichi,  che non c’è più.  Ma, se The Angel’s share si allinea, nei modi e nei toni, a Looking for Eric, meglio questo che l’ultimo esito di un tema un po’ più impegnativo quale voleva essere L’altra verità   (inguardabile). Seguiamo volentieri Ken Loach sulla strada più leggera di questo tipo di racconto. La sala Lumiere rimbombava del fragoroso applauso finale, quasi liberatorio e del successivo battito di mani a tempo di musica, della canzone sui titoli di coda, quasi come al concerto di Capodanno! Forse avevamo tutti bisogno di una risata, dopo giorni di film che hanno colpito duramente  allo stomaco. Ma, per  non far durare troppo questo effetto benefico, alle 14 ero già in fila per vedere White Elephant (dove tra l’altro ho incotrato Mary Nazary, di Mosca, giurata insieme a me lo scorso anno...una bella chiacchierata per ingannare l’attesa!)…. Beh, avete letto i miei resoconti in questi giorni, non è che ci sia andata leggera, ma vi posso assicurare che questo film mi ha scosso in maniera particolare.  Mi ha fatto sentire in colpa, per essere qui, contenta, a godermi una settimana di ferie, di festival, di glamour, grazie anche alla possibilità di farlo. Lo so, può sembrare una riflessione qualunquista, ma davanti al racconto di questo slum argentino, alla vita di questa gente con nessuna prospettiva, alla quale i preti della parrocchia locale cercano di dare un senso e un aiuto concreto nella costruzione di una casa, beh…mi sono sentita in colpa perché ho avuto la fortuna di nascere qui e non lì, qui,  nella mia famiglia e non lì, in questo elefante bianco di mattoni, mai finito, che sembra un girone dell’inferno in terra. Ben raccontato, con una macchina da presa mobilissima, dei piani sequenza (io amo i piani sequenza!) lunghissimi, e i fantastici occhi blu di Riccardo Darin, che da soli potrebbero sostenere un intero film senza aggiunta di parole.    Poi ho fatto l’ennesimo tentativo con un film iraniano (Kissing the moon-like face, ma anche questa volta sono corsa via dopo 10 minuti. Nei tre film iraniani che ho provato a vedere tra ieri ed oggi ho notato una cosa: gli iraniani di questi film parlano tanto, e a voce alta, e infatti dopo cinque minuti di proiezione avevo un cerchio alla testa!! Comunque ho lasciato l’Iran per volare in Colombia, con La Sirga, film colombiano della Quinzaine des realisateurs. Un film nel quale si entra con un po’ di fatica iniziale, ma che poi ti assorbe, ti immerge in questo mondo pieno d’acqua, di vento, di temporali, di carbone, dove la giovane Alicia tenta di ricostruire un’esistenza. Gesti semplici, la raccolta degli ortaggi, il taglio di un cavolo, due statuine scolpite nel legno quale pegno d’amore. Riprese quasi pittoriche, nella cornice di una finestra appena riparata, per rendere la casa, La sirga, accogliente per dei turisti eventuali che tali resteranno.  Un amore che chiede di andare. “Where?”, chiede Alicia. “Anywhere” è la risposta.                                    Domani mattina gli ultimi due film in concorso, e poi…si parte.
Ma questa sera, per festeggiare il festival, mi sono concessa il primo vero pasto di tutta una settimana.
Le foto parlano da sole…una porzione di cous cous au poisson e un tortino al cioccolato fondente con cuore di pistacchio, arancia candita e mandorle tostate da premio!

Ma soprattutto, dopo cinque giorni di pioggia, finalmente è tornato il sereno, regalandomi la luce che vedete nelle foto, scattate  a Juan Les Pins verso le 2030….che meraviglia questi luoghi! Il resoconto finale, con tanto di considerazioni e mia personale assegnazione di palme è rimandato a domani...

    










lunedì 21 maggio 2012

Quinto giorno da Cannes: e non avete ancora visto niente!

Il discorso sulla morte continua se la mattinata si è aperta con Orfeo ed Euridice. La loro storia messa in scena all’interno di una messa in scena all’interno di un’altra messa in scena che è il film di Resnais, myse en abime, come diciamo noi a Cannes!…e tutto comincia con la riunione di un gruppo di attori che interpretano sé stessi,e che vengono convocati alla morte del drammaturgo che ha scritto un’Euridice, da loro messa in scena in momenti diversi. Moltiplicazione dei piani, della recitazione, così come avviene all’inizio del film, quando la notizia viene data al telefono ad uno ad uno degli attori, che quindi si presentano in una sorta di titolo di testa recitato. Ad un certo punto (siamo all’inizio), lo spettatore  pensa : ma deve proprio farceli vedere tutti? E poi capisce che sì, è necessario, perché quello che conta per il regista è la messa in scena, non la storia in sé…colpi di teatro, colpi di scena finali che hanno colto di sorpresa gli spettatori della sala Lumiere, costretti  a vedere l’epilogo del film in piedi sulle scale, perché  si erano alzati poco prima convinti che il film fosse finito lì (è vero che ai festival si corre da una sala all’altra, ma succede anche in sale di normale programmazione e mi chiedo sempre se abbiamo lasciato la fiamma del gas accesa)…e invece no, come dice il titolo del film, ancora non avete visto niente!!! Un film  teatrale, una rappresentazione teatrale vera e propria, ma con la possibilità del doppio cast, anzi triplo, in scena contemporaneamente. Materiale prelibato per i gourmet del teatro, difficile da digerire per chi non lo ama…un film non da tutti. E poi la potenza, anche qui, di questo intreccio Amore e Morte, Morte che, come dice Amalric, suo messaggero, non è dolorosa, doloroso è ciò che rimane infine della vita, perché  la morte in sé è dolce, è rapida. Un Amalric sempre splendido, così come Piccoli e tutto il resto del cast. Insomma, come dire, Resnais…nei suoi film riesco sempre a intravedere il suo divertimento, il gusto che con molte probabilità ha sperimentato nel realizzarli. Chapeau!                                       Dopo questa dose di teatro a colazione, un tuffo nella realtà più drammatica. Un film senegalese, La piroga, che racconta il disperato viaggio in piroga di un gruppo di 30 tra senegalesi e guineani, alla ricerca di una speranza di vita in Spagna. In valigia, la disperazione, il non aver nulla da perdere, se non la vita, come accadrà a molti di loro. Ma il racconto è interessante perché mostra le dinamiche che si creano in questo eterogeneo gruppo di persone, ognuno con la sua storia, il suo scopo, la sua lingua, le sue  abitudini, in una convivenza così difficile come   quella di una piroga in mezzo all’Oceano. Un racconto drammatico, senza aggiunte se non quelle drammatiche della realtà stessa che raccontano. Senza punte di pregio, da un punto di vista squisitamente formale, senza particolari difetti. E il viaggio continua con The Hunt. Sono rimasta due ore avvinta allo schermo. Ma il colpo di fulmine c’era stato già alla prima scena. Quella di un bagno autunnale in un lago gelido, all’apertura della stagione della caccia. La camera, nei momenti in cui racconta l’amicizia, la goliardia di questo gruppo di uomini, volteggia irrequieta da un volto all’altro, da una bottiglia all’altra, mentre cantano (il canto ritorna, come nelle giornate precedenti, segno di appartenenza , di memorie condivise) ….per farci entrare in quel clima, in quell’atmosfera, sui cui possi si innesterà, o meglio, cadrà come un fulmine, la vicenda del film. Un presunto abuso su una bambina. Presunto. Ma lo spettatore sa che cosa è accaduto veramente, e questa conoscenza, rispetto ai protagonisti, è quella che fa la differenza. Perché ci porta a pensare da un altro punto di vista, a vedere la vicenda come solo l’accusato può vederla. Un film che indaga nel profondo l’amicizia, il giudizio, la verità e la convinzione di possederla, e in massimo grado, il sospetto. Perché una volta insinuato, non basta un giudice, una sentenza, a chiarire il tutto. Il dubbio resta e come un’ombra, spara su Lucas, non colpendolo, come una sentenza definitiva, ma facendolo cadere comunque a terra, instabile. Perché il sospetto mina alla radice la possibilità dei legami, dei rapporti umani, andando a colpire la fiducia. Svanita quella, è come costruire una casa sulla sabbia. Una ricerca molto accurata delle immagini, l’inquadratura dal basso a raccontare lo sguardo di Klara, della bambina, un cane che abbaia se si pronuncia il nome della ex-moglie di Lucas, un bellissimo bosco autunnale…insomma, un film mozzafiato. Da vedere assolutamente. La mia corsa contro il tempo non è servita a vedere Lawrence anyway, perché i posti erano esauriti, e allora piano B. Prima un film iraniano, dal quale sono uscita dopo circa 25 secondi….poi un film la cui locandina mi aveva molto incuriosito lo scorso anno qui a Cannes, e cioè I, Anna di Southcombe. Il film non è un capolavoro, ma è gradevole, un thriller, possiamo dire, che si fa guardare con piacere. Ma soprattutto c’è Charlotte Rampling. Quando la vedo sullo schermo rimango sempre incantata, con un tocco di sana invidia per la sua classe, la sua bellezza, la sua eleganza naturale. Lo  scorso anno, sul Red Carpet, con uno smoking da donna, ed un semplice filo di perle, ma soprattutto con la naturalezza dei movimenti, l’affabilità, era la donna più bella ed elegante, nonostante il luccichio e la preziosità degli abiti delle altre.   Bella la canzone iniziale e finale del film, “Cry a tear for the man in the moon”. La serata si è poi conclusa con il quinto film della giornata, e cioè l’iraniano Private life of Mr. And Mrs. M. Che dire: da non far vedere alle coppie che stanno per sposarsi. Su un pretesto di una promozione lavorativa, un film verboso, quasi fastidioso in questo, sul rapporto tra un marito ed una moglie, che nonostante il parlare continuo, uno sull’altro, non riescono a comunicare. A più riprese avrei voluto urlare di smetterla!!! Ma i due protagonisti non avrebbero ascoltato il mio grido d’aiuto, continuando il loro vociare isterico. Un film sull’incomunicabilità. Ma girato in un modo un po’ artigianale. Non so se fosse la copia rovinata, c’erano delle sovraesposizioni di luce, o dei passaggi così continui dal chiaro allo scuro e viceversa, insomma…si può anche perdere. Nessuna foto, oggi, sia per la pioggia che per il fatto di essere stata quasi sempre in sala…speriamo nel sole del domani!!

domenica 20 maggio 2012

Quarto giorno da Cannes: dell'amore e della morte

Amour. Love. Liebe. In tutte le sue declinazioni. Ma soprattutto attraverso il racconto dei corpi. E non solo nel senso del coinvolgimento sessuale, come in Paradise:Liebe, dove il sesso rappresenta una ricerca malata e disperata d’amore, ma perché la malattia dei corpi, messa in scena in diversi film di questo festival,  porta a galla la verità dei sentimenti più profondi, le malattie dell’anima, a volte, o quella parte più intima e nascosta che difficilmente riusciamo ad esprimere.  Così per la figura del padre di Beasts of the southern wild, così per la bella e brava Marion Cotillard in Rust& bones, così, in maniera struggente, nel bel film di Haneke: Amour, appunto.  La sensazione è stata quella di spiare, senza accezioni negative, ma entrando in punta di piedi, guardando da una porta appena socchiusa, la vita quotidiana di una coppia benestante, di una certa età, che è legata da un amore profondo. La malattia di lei entra nei gesti quotidiani, paralizza la scena (splendide inquadrature fisse, ad incorniciare, attraverso le porte, questo scorcio di amore). Di una grande eleganza e tenerezza  le scene in cui George abbraccia Anne per aiutarla a spostarsi dalla sedia a rotelle al bagno, al letto. Beh, il braccio di lei intorno al collo, il trascinarla delicatamente di lui, dei gesto fatti  e ripresi così bene, mi sono sembrati un momento di danza,  quasi un accenno di ballo tra marito e moglie. Riprese e toni asciutti, senza sbavature, senza pietismi, senza sentimentalismi. Eppure, i  tre quarti del pubblico (e parliamo di 2500 persone), erano  lì che singhiozzavano (piangere non sarebbe il termine giusto!), letteralmente e sonoramente. Perché l’amore, davanti alla morte è potente, straziante, e il bellissimo racconto per immagini di Haneke lo porta diritto al profondo di ognuno di noi, facendo emergere, come un fiume in piena, attraverso quelle lacrime irrefrenabili,  la paura e/o  il ricordo della sofferenza . Quella di coloro che amiamo, la nostra, il passato, o il timore per il futuro. Ma soprattutto il confronto con qualcosa che possiamo rimuovere, ignorare, ma che fa parte della vita e che sappiamo di dover affrontare, prima o poi: la morte.  Nel film Haneke  paga un piccolo tributo anche al cinema. Il protagonista, che fa dei racconti il suo speciale strumento di sollievo per la sofferenza della moglie, racconta di come, da bambino, un film gli avesse provocato forti emozioni, e nel raccontarlo ad un conoscente, queste emozioni fossero riemerse, senza riuscire a fermarle, proprio come è accaduto a me davanti ad Amour.   “Non ricordo quale fosse il film, ma ricordo ancora le emozioni che mi aveva suscitato”. Non trovate che sia una splendida dichiarazione d’amore?                       La morte si ritrova, trattata anche in forma di commedia, in Granny’s mother, il film visto nel pomeriggio alla Quinzaine.  L’ironia su un uomo che non riesce a crescere, a scegliere tra la moglie e l’amante, tra una modernissima compagnia di pompe funebri , dove i modelli delle bare sono proiettati a mo’ di ologrammi girevoli e quella più ruspante dove il titolare, chitarra in spalla, canta sulla tomba accompagnato dai tamburelli del suo aiutante, fa girare bene questa commedia. Un uomo che scopre, alla morte della nonna, che questa era una donna appassionata, che aveva amato un uomo sposato, un mago e ne aveva conservato le lettere tutta la vita. Insomma, un film che potrebbe essere parafrasato con “Una risata vi seppelirà”.  Doppi sensi, battutacce, un momento di relax, in una giornata inziata con le lacrime per il film di Haneke e finita con quelle del film argentino di Avila (anche il cielo si è unito a questo pianto generale visto che non ha smesso di piovere quasi tutto il giorno! P.s. Nel mezzo di tutto ciò ho visto anche un film inglese, Broken, ma non vale la pena scriverne…).
  Ora, che io sia un caso patologico di lacrime, è un dato di fatto. Ma vorrei spiegare che le lacrime per questi film non sono pura e semplice commozione. Non si tratta di una scena o una storia triste…a volte, si tratta proprio di emozione alla stato puro, di solidarietà. Come accaduto con il film argentino Clandestine Childood.
 Non una lacrima durante il film (o forse solo in un momento, ndr), ma quando, durante gli applausi finali, il regista è scoppiato in lacrime ed era due file dopo di me, beh….non ce l’ho fatta! Già sono sensibile agli applausi (anche se non sono per me, quando sono sentiti e più sonori del solito, non resisto!), ma la sua commozione per aver raccontato la sua storia personale attraverso il film, e perché il film è stato apprezzato dal pubblico, mi hanno steso al suolo definitivamente.
Davvero un bel film.  Intanto, ha un’originale trovata di inserimento di immagini disegnate, una graphic novel inserita nel film in diversi momenti, quelli cruciali. La storia quella di un’infanzia rubata, clandestina, come dice il titolo, perché vittima delle scelte degli adulti, di genitori impegnati in una lotta armata. Siamo nell’Argentina di fine anni ’70, e il bambino protagonista, Juan, è costretto a diventare Ermesto, a festeggiare un compleanno che non è il suo, perché i genitori e lo zio fanno parte del gruppo di lotta Monteneros, che si oppone, con la lotta armata, alla giunta militare. Lo sguardo del bambino sulle cose degli adulti, su ciò che ascolta nascosto da una colonna, la sua vita inventata a scuola, il primo amore, un rapporto speciale con lo zio Beto che gli spiega cos’è l’amore attraverso le nocciole ricoperte di cioccolato, fanno del film un gioiello da custodire. Ritmo, sogni, cambi di luce, il canto, la musica (così come era presente,in maniera fondamentale, in NO di Larrain…che il canto sia  qualcosa di radicato nelle  culture argentina e cilena?), una delicata storia d’amore adolescenziale e la storia di morte di coloro che, con le parole di zio Beto, pensano che “ la felicità non è sorridere, ma credere, avere una fede”, e lottare, fino alla morte, se necessario, per questa fede.  Assolutamente da non perdere.  
E domani mattina: Resnais! Con il mio adorato Mathieu Amalric.
Quanto amo questo festival! Anche sotto la pioggia...mai vista una croisette così deserta!!                                              



sabato 19 maggio 2012

Secondo e terzo giorno a Cannes

Come accennato questa notte agli amici di fb, ero troppo stanca per scrivere, e allora ho deciso di scrivere un post cumulativo, un'offerta speciale dalla Costa Azzurra, anche perchè il confine tra una giornata e l'altra diventa sempre più labile, visto che le ore di sonno della scorsa notte, ad esempio, corrispondevano al numero di 3....ieri dunque sono entrata nel vivo del festival, nel senso che mi sono data a quella ubriacatura di film, di gente, di incontri, di corse da una parte all'altra del Palais du festival e di Cannes, che fanno parte a pieno titolo dell'esserci. Oltre al fatto di incontrare Nanni Moretti, che vigila sul festival, da presidente di giuria. La mattina è iniziata con Student, un film di Omirbayev, Kazakistan, ispirato a Delitto e Castigo di Dostoevskij. Intenso, regia curatissima come piace a me, lento il giusto (forse non tutti sarebbero d'accordo)...un film per pochi, di nicchia, da me, come direbbero gli amici che non vengono al cinema con la sottoscritta.
A seguire un nuovo fallito tentativo di entrare alla proiezione delle 14 della Sala du 6o, che ha fatto dirottare la scelta su Six points for Emma. Interessante, ben fatto, contemporaneo, oserei dire. Un film spagnolo che, mi dicono dalla regia occulta di CinemaSpagna, era tra quelli papabili per il festival da poco concluso a Roma. Ma tra la pioggia e il vento e l'acquisto degli ombrelli (ah, i cari amici extracomunitari che sbucano come talpe alla prima goccia di pioggia, a Roma! Qui ne ho alla fine trovato uno, ma nascosto in una stradina laterale....ed era uno solo!), sono arrivata di corsa al Teatro Croisette per la mia seconda proiezione da Quinzaine (il primo amore non si scorda mai, l'anno scorso con l'impegno in giuria me li sono visti quasi tutti!):
 NO di Larrain: è stato un colpo di fulmine!! Intenso, avvincente, un ritmo serratissimo dettato da una macchina da presa inquieta come i fatti che racconta....quando un film racconta la Storia raccontando una storia....Larrain for president! Ancora oggi canticchio il jingle dello spot per la campagna del no che il film racconta! Alla fine del film avrei voluto alzarmi per cantare, gioire, e versare nuovamente quelle belle lacrime che erano già cadute durante la proiezione.
Poi di corsa il treno, mezz'ora per togliersi di dosso la stanchezza di una giornata e vestirsi a festa per il red carpet serale, quello di  Reality di Matteo Garrone. In sala anche il mitico Sean Penn...uno sguardo che parla più di mille parole! Garrone è riconoscibile nel suo tocco, in questa che viene definita una commedia nera. Una prima parte riuscita, che però non trova, secondo me, adeguato seguito nella seconda. Insomma, alla ricerca del turning point perduto...purtroppo, come raccontavo oggi ad un collega di Hong Kong, un reality che tristemente fotografa qualcosa che esiste...per fortuna gli stranieri, come Gary, appunto, pensavano fosse tutto inventato! Salviamo almeno la faccia! Ma la serata di gala non poteva che concludersi con un viaggio di ritorno in albergo a borgo di una comodissima Mercedes grigia.  L'autista mi ha chiamato per dirmi dove mi aspettava e mi ha detto:"Sono vestito di nero!". "Come tutti gli uomini in circolazione questa sera!", gli ho risposto io, visto che lo smoking è d'obbligo per queste serate. Ma ci siamo trovati ugualmente.
La giornata odierna si è invece aperta con la famosa proiezione delle 0830...eh si, la vita da festival è fatta anche di levatacce...purtroppo sprecate, come nel caso si Lawless. Non solo è un film orribile, che credo sia stato selezionato in un momento di totale annebbiamento delle vista dei selezionatori, ma è davvero un film che ci si chiede perchè sia stato mai fatto. Nè per la storia (esiste una storia?), nè per la recitazione (facce e voci cos' da duro neanche nelle parodie demenziali...), nè la regia.  Insomma, non merita di essere a Cannes ma neanche in sala! Da evitare assolutamente....sono fuggita!!
Per fortuna è andata molto meglio con il secondo film dela giornata: Beasts of the southern wild, di Behn Zeitlin. Che dire? Intenso come un terremoto, evocativo, selvaggio, potente, struggente, originale nel racconto per immagini dei sentimenti e dei temi di sempre: natura, amore, vita, morte. Huspuppy, la bambina protagonista, porta sulle sue spalle la nostra commozione di fronte alla perdita, alla paura, alla morte. Perchè è coraggiosa, e davanti all'Horcrux non fugge, ma lo affronta per sè, per noi, per il padre. Perchè si sente e si dichiara "a little piece of the big big universe".
Subito dopo ero pronta per andare a vedere Antiviral, ma la fila già esagerata presente un'ora prima mi ha fatto desistere, perchè correvo il rischio di non entrare. E allora cambio di rotta su Paradise:Liebe. Un film molto amaro, sulla triste condizione di chi cerca disperatamente l'amore, ma mente a sè stessa barattando un po' d'affetto da amanti a pagamento. Ma a pagare è una donna, cinquantenne austriaca, a vendere, uno stuolo di bei ragazzi kenyoti che vivono di questa forma aberrante di turismo che viene detta "sessuale".  Immagini di una nititidezza quasi accecante, a volte ferme come in un quadro, sospese in una sorta di irrealtà colorata, che non rappresenta alcun luogo, se non quello della tristezza dell'incontro di chi non trova e non ha trovato l'amore, e chi invece non ha trovato da mangiare, da lavorare e si vende. Da vedere. Non per tutti.
E infine, dpo il pomeriggio trascorso al meeting di Europa Cinemas e una bella conversazione con Ian Christie e Lucas Varone, di corsa al cinema STAR per recuperare "Rust & Bone" diAudiard. Come nel caso di Larrain, una macchina da presa inquieta, che volteggia sui corpi, sui volti, sulle ossa, raccontandoci una storia, veramente più storie, che sembrano partire una dall'altra, come una sorta di domino. La scena di aprertura, dopo i titoli ed immagini che sembrano avvolte nell'acqua, del liquido amniotico, di un lago ghiacciato (chi lo sa!), è quella di Alì che cammina per strada, e mi è sembrato quasi un voler riprendere il filo con la bellissima scena finale de Il profeta, dove il nostro protagonista lascia il carcere e cammina per la città sulle note di Mackie Messer...quasi un "dove eravamo rimasti?".  Anche in questo film molto bella e importante la musica, ma anche le tante piccole e grandi trovate stilistiche, i rumori attutiti per un crescendo di musica, che da diegetica si trasforma in  extradiegetica, fino ad arrivare al colpo al cuore dello spettatore: un nero, proprio verso la fine, sul quale sono cadute le ultime lascrime di riserva che avevo, ma di cui non vi svelo altro, per non rovinare il film. Bello, intenso, bella regia, consigliatissimo!
Vi lascio perchè domani mattina la sveglia suona implacabile per andare a vedere Love, di Haneke, Theatre Lumière,ore 0830!!



giovedì 17 maggio 2012

Oui, c'est moi:Farnese CinemaLab a Cannes!




L'entusiasmo della prima volta è svanito, ma è arrivato quello del ritorno!! Che bello tornare nei luoghi già assaporati, ritrovare le persone, gli angoli, gli oggetti...sentirsi riconosciuti dal personale dell'albergo, trovare un errore nelle istruzioni per ritirare il badge ma conoscere già la soluzione perchè è lo stesso errore dello scorso anno: insomma, l'esperienza conta!! Giornata di sistemazione, sia alberghiera che del festival. Nel pomeriggio primo tentativo andato a vuoto di vedere il documentario su Polanski: c'est full, diceva l'addetto, in un improbabile inglese/francese. Ma anche questo fa parte di un festival.  E allora mi sono rilassata, in attesa della proiezione delle 1930 sono andata a comprare un paio di sandali perchè fa molto caldo e i miei poveri piedi friggevano nelle scarpe e poi ho raggiunto con molto anticipo il Theatre Croisette, dove si svolge la Quinzaine des realisateurs. Il film di apertura mi aveva subito incuriosito per il titolo: The We and the I, di Michel Gondry.  Nella foto vedete il regista ed il cast che hanno salutato il pubblico prima della proiezione.
Un film molto particolare, perchè si potebbe definire teatrale, in quanto ambientato in un solo luogo chiuso, ma la novità è che questo luogo chiuso si muove, ed è un autobus di linea che gira per il Bronx raccontando e riportando a casa le vite di alcuni studenti, fotografati nell'ultimo giorno di scuola. Un po' teatro dell'assurdo, con alcune gag improbabili, di grande impatto, un racconto che sembra inizialmente una commedia e che invece vede man mano mettersi a fuoco lo sguardo puntuale del regista a fissare, nella discesa ognuno alla propria fermata, la sorte particolare di ciascuno, il suo carico di dolore, di aspirazioni, di sentimenti. Ognuno ha una fermata a cui scendere, ognuno ha modo di raccontare la propria storia ma la storia personale era stata all'inizio storia collettiva, trascinata a zonzo da un'autistadonna stile  supersize-Terminator!Peccato non aver inserito i sottotitoli in inglese, ho faticato molto a seguire lo slang di questi ragazzi, e sicuramente ho perso qualcosa dei dialoghi. Ma la potenza dell'idea narrativa e dei sentimenti mi ha fatto comunque apprezzare il film, anche se, forse per la stanchezza (solo 3 ore di sonno alle spalle!), ho sofferto un po' verso a fine.
Ma tutti gli sforzi sono stati ricompensati dall'apparizione di una vecchia conscenza: dopo averlo tanto evocato durante CinemaSpagna (senza sortire l'effetto di vederlo riapparire al Farnese), ecco che stasera, invece di guardare un film del Concorso principale, Nanni ha deciso di venire all'apertura della Quinzaine...vedere foto per credere (è quella testolina non allineata, un po' reclinata!).  Insomma, diciamolo: mi segue!!
A domani per il resoconto della seconda giornata a Cannes!


sabato 12 maggio 2012

CinemaSpagna - Saluti da una spettatrice VIP

"Ma quest'anno non scrivi del festival?".  Questo è quello che mi sono sentita dire giovedì sera, ultima serata del Festival CinemaSpagna, salutando Cinzia, presente in cassa e come bodyguard durante tutto il festival, insieme a Miriam. Pago il mio debito e tengo fede alla promessa fatta di scriverne. Questa volta dopo la fine del festival, anche perchè non c'era nessun bisogno di fare promozione, vista la fila che ogni sera invadeva lo spazio di Campo de' Fiori, fino ad arrivare, nell'ultima serata, dall'altra parte della piazza, al ristorante La Carbonara, per chi conosce il luogo. Come sempre, come tutti gli anni, una bella occasione, come dovrebbe accadere sempre nei festival, di vedere film che probabilmente non arriveranno mai in sala, almeno in Italia, di vedere film in lingua originale (bello bello bello, è un piacere sentir parlare gli attori in spagnolo!!), di approfondire con gli incontri con registi ed attori, e di trovarsi insieme ad un pubblico "scelto", che segue con attenzione, non parla durante il film, ma alza la mano e fa sentire la sua voce quando bisogna fare domande ai registi agli attori venuti ad accompagnare i film.E che dire dei presentatori/organizzatori, i bravissimi e bellissimi Iris e Federico? Quest'anno la mia partecipazione, causa precedenti impegni, è stata meno assidua...un totale di soli 4 film, in quattro differenti serate. Ho lasciato il cuore e copiose lacrime sulla poltroncina durante Arrugas...qualcuno è mai riuscito a regalarvi una nuvola?? Una simpatica riscoperta di Rita Pavone e il suo ballo del mattone nel giovane e fresco Puzzled love, un western in versiona spagnola e contemporaneo in No paz para los malvados, con un giustiziere dalla voce calda e profonda e per concludere la folgorazione: Madrid, 1987.  Dialoghi da urlo, che avrei voluto stenografare (se ne fossi mai stata capace!),  grande recitazione, un Trueba in gran forma, insomma......mancava solo Nanni! Ma Vittoria, la fotografa ufficiale del festival, ha deciso di paparazzarmi lo stesso...con o senza Nanni.
Che dire: bei film, bella gente, lo staff al completo che mi ha coccolato (come non ricordare anche il sorriso e l'abbraccio accogliente di Denise?), una sala in cui mi sento come a casa...cosa si può volere di più se non che arrivi presto la prossima edizione? Besos!!!

Farnese CinemaLab - Gli studenti incontrano il cinema

Le ultime settimana di matinèe al Cinema Farnese Persol sono state intensissime, tanto che non sono riuscita a tenere il passo con il blog per darvi conto di tutto. Sono stata letteralmente sommersa da una caterva di domande da parte di studenti delle medie dopo la visione di Hugo Cabret: ma Melies è esistito davvero? L'automa lo ha costruito veramente? Le sue macchine sono conservate da qualche parte? E tante altre domande, perchè gli studenti delle medie normalmente, rispetto ai loro colleghi più grandi, hanno meno remore, non subiscono ancora i condizionamenti del gruppo e lasciano andare la loro curiosità attraverso una selva di mani alzate. Evviva!
Ma davanti a due film impegnativi come Romanzo di una strage e Diaz, anche gli studenti delle superiori, rispettivamente del Liceo Majorana  e del Vittoria Colonna per il primo film, in due differenti giornate, e del Liceo Gassman per il secondo, hanno dimostrato di aver seguito i film con interesse (testimoniato dal silenzio con cui ascoltavano le mie parole e quelle degli ospiti e dalle domande di spessore che hanno fatto). Gli studenti del Majorana e del Vittoria Colonna si sono dovuti accontentare della sottoscritta, perchè purtroppo Marco Tullio Giordana non è riuscito ad intervenire in quanto lontano da Roma, nonostante la grande disponibilità dimostrata davanti al mio invito, ma abbiamo provato, insieme al mitico prof. Centola e alla prof.ssa Palombelli, a rispondere a cioò che ci veniva chiesto. Non è stato facile, di fronte a domande del tipo: " Quali sono state le conseguenze di quanto accaduto a Piazza Fontana, sull'oggi, su come viviamo la politica?"; " Quando si è smesso di sparare e si sono potuti considerare finiti i cosiddetti anni di piombo?"; "Ma le basi Nato di cui si parla nel film sono una pista reale?"; "Come è possibile fidarsi di uno Stato quale quello rappresentato nel film?". Ma è bello mettersi in gioco di fronte ai ragazzi, raccontare loro dati, ciò che si è letto, che si è studiato, ma anche i risultati di una riflessione personale che io, quanto i professori, abbiamo sicuramente eleborato e trasferito nelle nostre risposte. Con l'intento, sia ben chiaro, non di proclamare delle verità, ma di insegnare ai ragazzi a porsi il problema di fronte alle cose che vedono, leggono, sentono,  ad incuriosirsi e fare in modo che possano, attraverso tutti i canali che hanno a disposizione, pensare criticamente e farsi un'opinione personale.

Più fortunati gli studenti (anche se in maggioranza ragazze) del Liceo Gassman, che hanno avuto la fortuna di avere in sala, dopo la proiezione del film, il regista, Daniele Vicari, il produttore, Domenico Procacci, e il regista del documentartio Black bloc, Carlo Bachschmidt, oltre alla sottoscritta e alla prof.ssa Di Lunardo. Un'ora intensa di domande, di risposte, di racconti, che hanno portato il discorso su argomenti importanti, la politica, nel senso più ampio e più alto, la responsabilità personale, la democrazia, la sua assenza, il ruolo del cinema, la giustizia, la tortura, la Tobin tax, il Genova Social Forum, il movimento di Seattle. Il tutto non in maniera astratta, ma partendo dalla vicenda Diaz, dall'esperienza dei due registi, dalle vittime, dagli atti processuali, dalle testimonianze anche di quei poliziotti che hanno accettato di incontrare il regista. E cercando di parlare a dei ragazzi con idee anche diverse e con la possibilità di contestare il film, come quella ragazza che ha chiesto: "Perchè ha voluto fare un film che denigrasse la polizia?" (questo il senso, non ricordo le parole precise). E dopo aver invitato gli altri studenti  a rispondere, è stato interessante ascoltare le risposte di Vicari, quelle di Procacci e il racconto di Bachschmidt sul suo documentario, su ciò che ne è stato del Genova Social Forum, come chiesto dalla professoressa. Un'ora che ha rappresentanto un momento altissimo dell'esperienza di Farnese CinemaLab, che si nutre proprio dell'incontro tra le giovani generazioni e il cinema di qualità e, quando possibile, dell'incontro anche con chi questo cinema lo produce, lo fa, lo proietta, lo studia e cerca di portarlo all'attenzione del cosiddetto pubblico giovane.