domenica 8 settembre 2013

Ritorno sul pianeta terra - fine della 70ma mostra del cinema di Venezia

Sono sul treno di ritorno, direzione Roma, ed è bello fermarsi a pensare a quanto visto e vissuto negli ultimi giorni, alla 70ma edizione della Mostra del cinema di Venezia, un modo di affrontare il ritorno alla ferialità, o, potrei dire, il viaggio verso il pianeta terra, visto che la mostra si è aperta con il film Gravity (non il genere di film che preferisco, ma sicuramente  visto con piacere!).  Quest’anno non ho scritto, se non sporadicamente, sui film visti, perché è stato davvero complicato gestire i tempi, e forse ha giocato anche la stanchezza con cui sono arrivata alla Mostra, che rappresenta, come ormai abitualmente da quattro anni, il periodo delle mie ferie estive. Per nulla riposanti secondo i criteri comuni, ma sicuramente ricche di ciò che più mi piace. Bellissima, come lo era stata quella di Cannes, l’esperienza della giuria dell’Europa Cinemas Label. Vedere i film delle Giornate degli autori, e confrontarsi su di essi con Wilko, Vlado e Yannick è stato davvero un viaggio alla scoperta dei mondi cinematografici. Non solo per la diversità dei titoli e della loro provenienza, ma anche per la diversità della ricezione di uno stesso film da parte di noi giurati, ognuno con il proprio gusto, ovviamente, con il proprio bagaglio di visioni, e con i codici di decodificazione con cui ciascuno le affronta. Ma dopo varie sessioni davanti ad un cappuccino e la riunione finale di un’ora e mezzo con in mano un bicchiere di prosecco, il verdetto è andato a favore di La belle vie, un film francese, opera prima di Jean Denizot, che parte da un caso di cronaca  e ci racconta del passaggio all’età adulta di un ragazzo con una famiglia un po’ particolare: un padre che l’ha rapito all’età di 5 anni e lo ha cresciuto nelle campagne francesi, “senza servi né padroni.”  Un film poetico, con un bel finale, anche con qualche difetto (ma è un’opera prima),che soprattutto risponde al criterio del premio che abbiamo assegnato: quello di promuovere un film europeo che possa arrivare ad avere distribuzione, che possa arrivare in sala, al pubblico, combinando la validità artistica con la sua accessibilità. E un film che sicuramente Farnese CinemaLab potrebbe proporre ai ragazzi delle scuole: attendiamo di vedere se vi sarà la distribuzione italiana. Ma c’è stata anche una menzione speciale che abbiamo voluto assegnare, al film bulgaro Alienation, di Mirko Lazarov, tra l’altro il primo film in assoluto che abbia visto alla mostra, sicuramente uno dei film più originali, dal punto di vista narrativo, con l’assenza totale di musica, e un meccanismo che definirei inverso a quello dell’ironia drammatica: lo spettatore non sa assolutamente nulla, anzi, è svantaggiato rispetto a ciò che accade, non ne coglie appieno i motivi, non viene edotto su quanto accade…ma si ritrova comunque a bordo di una vecchia peugeot a compiere un viaggio nell’alienazione delle vite dei protagonisti, a piccoli passi, con piccole scoperte, quasi sbriciando dalla porta che lo schermo apre su questa realtà. Un film che mi ha ricordato, per certe atmosfere, il film turco Muffa, e che soprattutto, con il suo titolo, va anche a riassumere un po’ il senso di quanto visto quest’anno. Perché come sempre, nei festival, mi sembra di scorgere un filo rosso, una chiave di lettura contenutistica, che ci restituisce anche uno sguardo sul momento presente, e il sottotitolo che darei quest’anno alla mostra, in merito a quanto visto, trasversalmente rispetto alle sezioni, è “la vita degradata”.  In ogni senso. Dal Child of God di James Franco (ottimo, sempre bravo in ogni sua manifestazione…clever boy!), Lester Ballard, che vive da esule nelle sue stesse terre, e che cerca conforto alla sua solitudine, al bisogno d’amore che è patrimonio genetico dell’umanità,  tra le braccia di una “troia gelata”  (sic…in quanto cadavere!), al Leone d’argento alla regia, il greco Miss Violence, che a me è piaciuto moltissimo, da un punto di vista di regia, ma che ovviamente ti pone davanti la mostruosità dell’uomo, il silenzio colpevole, la porta di casa chiusa con le mandate sull’atrocità che si può generare all’interno di una “famiglia”, cellula di una società… altrettanto mostruosa ? L’unica ventata di aria fresca (un film godibile, senza grandi pregi, ma che ai festival diventa balsamo per affrontare il resto) mi è arrivata da We are the best, di Moodysson, ma il film è ambientato nel 1982…e la domanda che mi pongo è se solo guardando al passato riusciamo a trovare ancora qualcosa per cui sorridere. Amara riflessione. Ma, come ha detto Friedkin, ricevendo il Leone d’oro, non bisogna avere paura dell’immaginazione, della finzione, pur spaventosa , che troviamo nei film (suoi e degli altri). Quello di cui dobbiamo avere paura veramente, purtroppo, è la realtà. E la solitudine che, nonostante la vita immersa nella società, pervade tanti protagonisti visti in questi giorni, quella delle persone che non hanno nessuno, se non John May, che vada al loro funerale (nel bel film Still Life di Pasolini, che ha vinto il premio per la regia nella sezione Orizzonti), quella del protagonista di Locke, che pur rimanendo sempre in comunicazione attraverso il telefonino con il mondo esterno, è comunque solo, nella sua auto, ad affrontare una notte che cambia la sua vita,  la solitudine delle roccaforti delle proprie convinzioni e posizioni in cui si rifugiano le protagoniste di  Via Castellana Bandiera (da non perdere), la varietà umana che ruota attorno al Sacro G.R.A, tra mantelli di San Casimiro e dotte disquisizioni sulle anguille, un mondo a cui gettiamo solo uno sguardo, spettatori, affacciati dal raccordo, appunto, come in finestra, ma senza vedere mai qual è il “panorama” che hanno davanti . E poi le meravigliose immagini di Stray Dogs, una umanità che vive con e come cani randagi ( ma forse più libera, come affermato dal regista Tsai Ming-Liang, in conferenza stampa, perché la censura e la mancanza di libertà vengono generate dai soldi, più che dalla politica). Un cinema “oltre”, quello di Tsai Ming Liang, che getta uno sguardo su un altrove che a lungo non vediamo, come nella bellissima parte finale del film, e che ci costringe ad un esercizio di attesa, di pazienza, di ricerca, a cui il nostro mondo veloce e sempre in fuga ci ha disabituato. Ed ecco la fatica che molti provano di fronte a questa lentezza, che il regista ha eletto suo metodo per cercare una direzione nel disorientamento e nella confusione. Ma a chi saprà attendere, lasciandosi travolgere , come un fiume in piena, dalle lacrime che affiorano lente da questo sguardo, la possibilità di visioni…al di là del muro, al di là del film, al di là del festival. Per pochi. Purtroppo.                                      
Ma se il denominatore comune di questi giorni è stato il cinema, c’è un aspetto della Mostra che fin dal primo anno ha reso speciale l’essere presente: la possibilità di incontro con le persone. Le reazioni in sala dopo i film, chi urla “sionista”, chi fischia, chi litiga con il vicino per un parere contrastante sul film appena visto, e le liti durante le file per chi passa davanti, per chi pensa che ci si debba separare se si è in due e chi no. Vecchie e nuove conoscenze,  le amicizie virtuali che diventano occhi da guardare direttamente e mani da stringere, nuovi incontri, anche on air attraverso le interviste radiofoniche e televisive che quest’anno sono state numerose,il diventare una sorta di Virgilio della mostra per quegli amici che, causa figli piccoli e scalpitanti in casa, si affidano a me per andare al cinema da soli quella volta all’anno, alla mostra appunto, le belle chiacchiere con gli sconosciuti ad uno stesso tavolo, durante una cena “ufficiale”, o quelle con le addette della Video Library, e le telefonate inseguendosi tra gli orari delle proiezioni e le riunioni, gli amici da Roma che sollecitano i tuoi riscontri dei film, il sentirsi chiamare, in Sala Grande, da una professoressa del progetto scuole di Roma, che è lì con il marito a godersi Tsai Ming Liang, la paziente ospitalità di mia cugina e suo marito, e che rassegnati, mi vedono arrivare il primo giorno e rivedono il mio volto solo al sabato finale, 10 giorni dopo.  Insomma, nella realtà, l’incontro con quella umanità di cui tutti i protagonisti visti sullo schermo sembrano essere alla ricerca.  Buon viaggio…fino al prossimo festival!

                              

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