Dopo questa prova di resistenza, una breve pausa di 30 minuti, in cui ho avuto la divertente esperienza di ascoltare un musicista di strada, un violinista, che su Rue d'Antibes, una strada piena di eleganti vetrine, diffondeva le note di "Oh campagnola bella....": mi sono sentita a casa, l'Abruzzo in fiore anche a Cannes! E poi di nuovo in Sala Lumière a vedere l'ultimo film prima di partire: Holy Motors di Carax. Che dire? Non potevo concludere meglio. Io che scrivo durante i film, ho consumato mezzo taccuino! Surrealtà allo stato puro, un film che riesce a sorprendere, a divertire, a spiazzare, con grande maestria, rappresentando una sorta di summa di tanti temi, film, storie, anche presenti a Cannes. Si parte con la ripresa di una pubblico, in una sala cinematografica, come nella scena iniziale del film di Haneke (anche se lì eravamo in un auditorium). Ma qui abbiamo visto in precedenza cosa stanno guardando gli spettatori: un'immagine che ritroveremo alla fine di questo slalom speciale, fatto di rimandi, di situazioni, di rappresentazioni cinematografiche, di ironia all'ennesima potenza. E poi, come in Resnais, il teatro, la finzione, il camerino mobile. E via attraverso i set che ci vengono proposti, in incastri che ci conducono sulla soglia della comprensione, senza farcela mai afferrare davvero, strappandoci di mano le certezze e le verità di un nostro tentativo di inquadramento di una materia che si trasforma continuamente davanti ai nostri occhi. Con risultati sorprendenti. Sento già i commenti della mia amica Rosanna, quando e se vedrà il film, sulla sua incomprensibilità, ma, come le dico sempre, io adoro l'arte che suscita domande, curiosità, che ti fa lambiccare il cervello, lo stimola, ma non dà necessariamente risposte. E allora formiamo un corteo che segue non il pifferaio magico, ma un manipolo di suonatori di fisarmonica, prenotiamo un soggiorno nella clinica Samaritaine, seguiamo l'uomo con la maschera da uomo ragno, lasciamoci trasportare dalle note di "Who where we..." cantata da Jean...e quando "the end is near..", sbrighiamoci, perchè "dobbiamo ridere prima di mezzanotte. Chissà se rideremo nella prossima vita". Perchè "We would like to live again", ma nell'attesa, parcheggiamo alla Holy Motors!
giovedì 24 maggio 2012
Sesto giorno a Cannes: in differita da Roma!
martedì 22 maggio 2012
Sesto giorno da Cannes: è tornato il sole!
Le foto parlano da sole…una
porzione di cous cous au poisson e un tortino al cioccolato fondente con cuore
di pistacchio, arancia candita e mandorle tostate da premio!
Ma soprattutto,
dopo cinque giorni di pioggia, finalmente è tornato il sereno, regalandomi la
luce che vedete nelle foto, scattate a
Juan Les Pins verso le 2030….che meraviglia questi luoghi! Il resoconto finale,
con tanto di considerazioni e mia personale assegnazione di palme è rimandato a
domani...
lunedì 21 maggio 2012
Quinto giorno da Cannes: e non avete ancora visto niente!
Il discorso sulla morte continua
se la mattinata si è aperta con Orfeo ed Euridice. La loro storia messa in
scena all’interno di una messa in scena all’interno di un’altra messa in scena
che è il film di Resnais, myse en abime, come diciamo noi a Cannes!…e tutto
comincia con la riunione di un gruppo di attori che interpretano sé stessi,e
che vengono convocati alla morte del drammaturgo che ha scritto un’Euridice, da
loro messa in scena in momenti diversi. Moltiplicazione dei piani, della
recitazione, così come avviene all’inizio del film, quando la notizia viene
data al telefono ad uno ad uno degli attori, che quindi si presentano in una
sorta di titolo di testa recitato. Ad un certo punto (siamo all’inizio), lo
spettatore pensa : ma deve proprio
farceli vedere tutti? E poi capisce che sì, è necessario, perché quello che
conta per il regista è la messa in scena, non la storia in sé…colpi di teatro,
colpi di scena finali che hanno colto di sorpresa gli spettatori della sala
Lumiere, costretti a vedere l’epilogo
del film in piedi sulle scale, perché si
erano alzati poco prima convinti che il film fosse finito lì (è vero che ai festival
si corre da una sala all’altra, ma succede anche in sale di normale programmazione
e mi chiedo sempre se abbiamo lasciato la fiamma del gas accesa)…e invece no,
come dice il titolo del film, ancora non avete visto niente!!! Un film teatrale, una rappresentazione teatrale vera e
propria, ma con la possibilità del doppio cast, anzi triplo, in scena
contemporaneamente. Materiale prelibato per i gourmet del teatro, difficile da
digerire per chi non lo ama…un film non da tutti. E poi la potenza, anche qui,
di questo intreccio Amore e Morte, Morte che, come dice Amalric, suo
messaggero, non è dolorosa, doloroso è ciò che rimane infine della vita, perché
la morte in sé è dolce, è rapida. Un
Amalric sempre splendido, così come Piccoli e tutto il resto del cast. Insomma,
come dire, Resnais…nei suoi film riesco sempre a intravedere il suo divertimento,
il gusto che con molte probabilità ha sperimentato nel realizzarli. Chapeau! Dopo
questa dose di teatro a colazione, un tuffo nella realtà più drammatica. Un
film senegalese, La piroga, che racconta il disperato viaggio in piroga di un
gruppo di 30 tra senegalesi e guineani, alla ricerca di una speranza di vita in
Spagna. In valigia, la disperazione, il non aver nulla da perdere, se non la
vita, come accadrà a molti di loro. Ma il racconto è interessante perché mostra
le dinamiche che si creano in questo eterogeneo gruppo di persone, ognuno con
la sua storia, il suo scopo, la sua lingua, le sue abitudini, in una convivenza così difficile come
quella di una piroga in mezzo all’Oceano.
Un racconto drammatico, senza aggiunte se non quelle drammatiche della realtà
stessa che raccontano. Senza punte di pregio, da un punto di vista
squisitamente formale, senza particolari difetti. E il viaggio continua con The Hunt. Sono rimasta due ore avvinta
allo schermo. Ma il colpo di fulmine c’era stato già alla prima scena. Quella
di un bagno autunnale in un lago gelido, all’apertura della stagione della
caccia. La camera, nei momenti in cui racconta l’amicizia, la goliardia di
questo gruppo di uomini, volteggia irrequieta da un volto all’altro, da una
bottiglia all’altra, mentre cantano (il canto ritorna, come nelle giornate
precedenti, segno di appartenenza , di memorie condivise) ….per farci entrare
in quel clima, in quell’atmosfera, sui cui possi si innesterà, o meglio, cadrà
come un fulmine, la vicenda del film. Un presunto abuso su una bambina. Presunto.
Ma lo spettatore sa che cosa è accaduto veramente, e questa conoscenza,
rispetto ai protagonisti, è quella che fa la differenza. Perché ci porta a
pensare da un altro punto di vista, a vedere la vicenda come solo l’accusato
può vederla. Un film che indaga nel profondo l’amicizia, il giudizio, la verità
e la convinzione di possederla, e in massimo grado, il sospetto. Perché una
volta insinuato, non basta un giudice, una sentenza, a chiarire il tutto. Il
dubbio resta e come un’ombra, spara su Lucas, non colpendolo, come una sentenza
definitiva, ma facendolo cadere comunque a terra, instabile. Perché il sospetto
mina alla radice la possibilità dei legami, dei rapporti umani, andando a
colpire la fiducia. Svanita quella, è come costruire una casa sulla sabbia. Una
ricerca molto accurata delle immagini, l’inquadratura dal basso a raccontare lo
sguardo di Klara, della bambina, un cane che abbaia se si pronuncia il nome
della ex-moglie di Lucas, un bellissimo bosco autunnale…insomma, un film mozzafiato.
Da vedere assolutamente. La mia corsa contro il tempo non è servita a vedere
Lawrence anyway, perché i posti erano esauriti, e allora piano B. Prima un film
iraniano, dal quale sono uscita dopo circa 25 secondi….poi un film la cui
locandina mi aveva molto incuriosito lo scorso anno qui a Cannes, e cioè I,
Anna di Southcombe. Il film non è un capolavoro, ma è gradevole, un thriller,
possiamo dire, che si fa guardare con piacere. Ma soprattutto c’è Charlotte Rampling.
Quando la vedo sullo schermo rimango sempre incantata, con un tocco di sana
invidia per la sua classe, la sua bellezza, la sua eleganza naturale. Lo scorso anno, sul Red Carpet, con uno smoking
da donna, ed un semplice filo di perle, ma soprattutto con la naturalezza dei
movimenti, l’affabilità, era la donna più bella ed elegante, nonostante il
luccichio e la preziosità degli abiti delle altre. Bella
la canzone iniziale e finale del film, “Cry a tear for the man in the moon”. La
serata si è poi conclusa con il quinto film della giornata, e cioè l’iraniano
Private life of Mr. And Mrs. M. Che dire: da non far vedere alle coppie che
stanno per sposarsi. Su un pretesto di una promozione lavorativa, un film
verboso, quasi fastidioso in questo, sul rapporto tra un marito ed una moglie,
che nonostante il parlare continuo, uno sull’altro, non riescono a comunicare.
A più riprese avrei voluto urlare di smetterla!!! Ma i due protagonisti non
avrebbero ascoltato il mio grido d’aiuto, continuando il loro vociare isterico.
Un film sull’incomunicabilità. Ma girato in un modo un po’ artigianale. Non so se
fosse la copia rovinata, c’erano delle sovraesposizioni di luce, o dei passaggi
così continui dal chiaro allo scuro e viceversa, insomma…si può anche perdere. Nessuna
foto, oggi, sia per la pioggia che per il fatto di essere stata quasi sempre in
sala…speriamo nel sole del domani!!
domenica 20 maggio 2012
Quarto giorno da Cannes: dell'amore e della morte
Amour. Love. Liebe. In tutte le
sue declinazioni. Ma soprattutto attraverso il racconto dei corpi. E non solo
nel senso del coinvolgimento sessuale, come in Paradise:Liebe, dove il sesso
rappresenta una ricerca malata e disperata d’amore, ma perché la malattia dei
corpi, messa in scena in diversi film di questo festival, porta a galla la verità dei sentimenti più
profondi, le malattie dell’anima, a volte, o quella parte più intima e nascosta
che difficilmente riusciamo ad esprimere. Così per la figura del padre di Beasts of the
southern wild, così per la bella e brava Marion Cotillard in Rust& bones,
così, in maniera struggente, nel bel film di Haneke: Amour, appunto. La
sensazione è stata quella di spiare, senza accezioni negative, ma entrando in
punta di piedi, guardando da una porta appena socchiusa, la vita quotidiana di
una coppia benestante, di una certa età, che è legata da un amore profondo. La
malattia di lei entra nei gesti quotidiani, paralizza la scena (splendide
inquadrature fisse, ad incorniciare, attraverso le porte, questo scorcio di
amore). Di una grande eleganza e tenerezza le scene in cui George abbraccia Anne per
aiutarla a spostarsi dalla sedia a rotelle al bagno, al letto. Beh, il braccio
di lei intorno al collo, il trascinarla delicatamente di lui, dei gesto
fatti e ripresi così bene, mi sono sembrati
un momento di danza, quasi un accenno di
ballo tra marito e moglie. Riprese e toni asciutti, senza sbavature, senza
pietismi, senza sentimentalismi. Eppure, i tre quarti del pubblico (e parliamo di 2500
persone), erano lì che singhiozzavano
(piangere non sarebbe il termine giusto!), letteralmente e sonoramente. Perché
l’amore, davanti alla morte è potente, straziante, e il bellissimo racconto per
immagini di Haneke lo porta diritto al profondo di ognuno di noi, facendo
emergere, come un fiume in piena, attraverso quelle lacrime irrefrenabili, la paura e/o il ricordo della sofferenza . Quella di coloro
che amiamo, la nostra, il passato, o il timore per il futuro. Ma soprattutto il
confronto con qualcosa che possiamo rimuovere, ignorare, ma che fa parte della
vita e che sappiamo di dover affrontare, prima o poi: la morte. Nel film Haneke paga un piccolo tributo anche al cinema. Il
protagonista, che fa dei racconti il suo speciale strumento di sollievo per la
sofferenza della moglie, racconta di come, da bambino, un film gli avesse
provocato forti emozioni, e nel raccontarlo ad un conoscente, queste emozioni
fossero riemerse, senza riuscire a fermarle, proprio come è accaduto a me
davanti ad Amour. “Non ricordo quale fosse il film, ma ricordo
ancora le emozioni che mi aveva suscitato”. Non trovate che sia una splendida dichiarazione d’amore? La morte si ritrova, trattata anche in forma di commedia, in Granny’s mother, il film visto nel pomeriggio alla Quinzaine. L’ironia su un uomo che non riesce a
crescere, a scegliere tra la moglie e l’amante, tra una modernissima compagnia
di pompe funebri , dove i modelli delle bare sono proiettati a mo’ di ologrammi
girevoli e quella più ruspante dove il titolare, chitarra in spalla, canta
sulla tomba accompagnato dai tamburelli del suo aiutante, fa girare bene questa
commedia. Un uomo che scopre, alla morte della nonna, che questa era una donna
appassionata, che aveva amato un uomo sposato, un mago e ne aveva conservato le
lettere tutta la vita. Insomma, un film che potrebbe essere parafrasato con
“Una risata vi seppelirà”. Doppi sensi,
battutacce, un momento di relax, in una giornata inziata con le lacrime per il
film di Haneke e finita con quelle del film argentino di Avila (anche il cielo
si è unito a questo pianto generale visto che non ha smesso di piovere quasi
tutto il giorno! P.s. Nel mezzo di tutto ciò ho visto anche un film inglese,
Broken, ma non vale la pena scriverne…).
Ora, che io sia un caso patologico di
lacrime, è un dato di fatto. Ma vorrei spiegare che le lacrime per questi film
non sono pura e semplice commozione. Non si tratta di una scena o una storia
triste…a volte, si tratta proprio di emozione alla stato puro, di solidarietà.
Come accaduto con il film argentino Clandestine
Childood.
Non una lacrima durante il film (o forse solo in un momento, ndr),
ma quando, durante gli applausi finali, il regista è scoppiato in lacrime ed
era due file dopo di me, beh….non ce l’ho fatta! Già sono sensibile agli
applausi (anche se non sono per me, quando sono sentiti e più sonori del
solito, non resisto!), ma la sua commozione per aver raccontato la sua storia
personale attraverso il film, e perché il film è stato apprezzato dal pubblico,
mi hanno steso al suolo definitivamente.
E domani mattina:
Resnais! Con il mio adorato Mathieu Amalric.
Quanto amo questo festival! Anche sotto la pioggia...mai vista una croisette così deserta!!
sabato 19 maggio 2012
Secondo e terzo giorno a Cannes
Come accennato questa notte agli amici di fb, ero troppo stanca per scrivere, e allora ho deciso di scrivere un post cumulativo, un'offerta speciale dalla Costa Azzurra, anche perchè il confine tra una giornata e l'altra diventa sempre più labile, visto che le ore di sonno della scorsa notte, ad esempio, corrispondevano al numero di 3....ieri dunque sono entrata nel vivo del festival, nel senso che mi sono data a quella ubriacatura di film, di gente, di incontri, di corse da una parte all'altra del Palais du festival e di Cannes, che fanno parte a pieno titolo dell'esserci. Oltre al fatto di incontrare Nanni Moretti, che vigila sul festival, da presidente di giuria. La mattina è iniziata con Student, un film di Omirbayev, Kazakistan, ispirato a Delitto e Castigo di Dostoevskij. Intenso, regia curatissima come piace a me, lento il giusto (forse non tutti sarebbero d'accordo)...un film per pochi, di nicchia, da me, come direbbero gli amici che non vengono al cinema con la sottoscritta.
NO di Larrain: è stato un colpo di fulmine!! Intenso, avvincente, un ritmo serratissimo dettato da una macchina da presa inquieta come i fatti che racconta....quando un film racconta la Storia raccontando una storia....Larrain for president! Ancora oggi canticchio il jingle dello spot per la campagna del no che il film racconta! Alla fine del film avrei voluto alzarmi per cantare, gioire, e versare nuovamente quelle belle lacrime che erano già cadute durante la proiezione.
La giornata odierna si è invece aperta con la famosa proiezione delle 0830...eh si, la vita da festival è fatta anche di levatacce...purtroppo sprecate, come nel caso si Lawless. Non solo è un film orribile, che credo sia stato selezionato in un momento di totale annebbiamento delle vista dei selezionatori, ma è davvero un film che ci si chiede perchè sia stato mai fatto. Nè per la storia (esiste una storia?), nè per la recitazione (facce e voci cos' da duro neanche nelle parodie demenziali...), nè la regia. Insomma, non merita di essere a Cannes ma neanche in sala! Da evitare assolutamente....sono fuggita!!
Per fortuna è andata molto meglio con il secondo film dela giornata: Beasts of the southern wild, di Behn Zeitlin. Che dire? Intenso come un terremoto, evocativo, selvaggio, potente, struggente, originale nel racconto per immagini dei sentimenti e dei temi di sempre: natura, amore, vita, morte. Huspuppy, la bambina protagonista, porta sulle sue spalle la nostra commozione di fronte alla perdita, alla paura, alla morte. Perchè è coraggiosa, e davanti all'Horcrux non fugge, ma lo affronta per sè, per noi, per il padre. Perchè si sente e si dichiara "a little piece of the big big universe".
Subito dopo ero pronta per andare a vedere Antiviral, ma la fila già esagerata presente un'ora prima mi ha fatto desistere, perchè correvo il rischio di non entrare. E allora cambio di rotta su Paradise:Liebe. Un film molto amaro, sulla triste condizione di chi cerca disperatamente l'amore, ma mente a sè stessa barattando un po' d'affetto da amanti a pagamento. Ma a pagare è una donna, cinquantenne austriaca, a vendere, uno stuolo di bei ragazzi kenyoti che vivono di questa forma aberrante di turismo che viene detta "sessuale". Immagini di una nititidezza quasi accecante, a volte ferme come in un quadro, sospese in una sorta di irrealtà colorata, che non rappresenta alcun luogo, se non quello della tristezza dell'incontro di chi non trova e non ha trovato l'amore, e chi invece non ha trovato da mangiare, da lavorare e si vende. Da vedere. Non per tutti.
E infine, dpo il pomeriggio trascorso al meeting di Europa Cinemas e una bella conversazione con Ian Christie e Lucas Varone, di corsa al cinema STAR per recuperare "Rust & Bone" diAudiard. Come nel caso di Larrain, una macchina da presa inquieta, che volteggia sui corpi, sui volti, sulle ossa, raccontandoci una storia, veramente più storie, che sembrano partire una dall'altra, come una sorta di domino. La scena di aprertura, dopo i titoli ed immagini che sembrano avvolte nell'acqua, del liquido amniotico, di un lago ghiacciato (chi lo sa!), è quella di Alì che cammina per strada, e mi è sembrato quasi un voler riprendere il filo con la bellissima scena finale de Il profeta, dove il nostro protagonista lascia il carcere e cammina per la città sulle note di Mackie Messer...quasi un "dove eravamo rimasti?". Anche in questo film molto bella e importante la musica, ma anche le tante piccole e grandi trovate stilistiche, i rumori attutiti per un crescendo di musica, che da diegetica si trasforma in extradiegetica, fino ad arrivare al colpo al cuore dello spettatore: un nero, proprio verso la fine, sul quale sono cadute le ultime lascrime di riserva che avevo, ma di cui non vi svelo altro, per non rovinare il film. Bello, intenso, bella regia, consigliatissimo!
Vi lascio perchè domani mattina la sveglia suona implacabile per andare a vedere Love, di Haneke, Theatre Lumière,ore 0830!!giovedì 17 maggio 2012
Oui, c'est moi:Farnese CinemaLab a Cannes!
L'entusiasmo della prima volta è svanito, ma è arrivato quello del ritorno!! Che bello tornare nei luoghi già assaporati, ritrovare le persone, gli angoli, gli oggetti...sentirsi riconosciuti dal personale dell'albergo, trovare un errore nelle istruzioni per ritirare il badge ma conoscere già la soluzione perchè è lo stesso errore dello scorso anno: insomma, l'esperienza conta!! Giornata di sistemazione, sia alberghiera che del festival. Nel pomeriggio primo tentativo andato a vuoto di vedere il documentario su Polanski: c'est full, diceva l'addetto, in un improbabile inglese/francese. Ma anche questo fa parte di un festival. E allora mi sono rilassata, in attesa della proiezione delle 1930 sono andata a comprare un paio di sandali perchè fa molto caldo e i miei poveri piedi friggevano nelle scarpe e poi ho raggiunto con molto anticipo il Theatre Croisette, dove si svolge la Quinzaine des realisateurs. Il film di apertura mi aveva subito incuriosito per il titolo: The We and the I, di Michel Gondry. Nella foto vedete il regista ed il cast che hanno salutato il pubblico prima della proiezione.
Un film molto particolare, perchè si potebbe definire teatrale, in quanto ambientato in un solo luogo chiuso, ma la novità è che questo luogo chiuso si muove, ed è un autobus di linea che gira per il Bronx raccontando e riportando a casa le vite di alcuni studenti, fotografati nell'ultimo giorno di scuola. Un po' teatro dell'assurdo, con alcune gag improbabili, di grande impatto, un racconto che sembra inizialmente una commedia e che invece vede man mano mettersi a fuoco lo sguardo puntuale del regista a fissare, nella discesa ognuno alla propria fermata, la sorte particolare di ciascuno, il suo carico di dolore, di aspirazioni, di sentimenti. Ognuno ha una fermata a cui scendere, ognuno ha modo di raccontare la propria storia ma la storia personale era stata all'inizio storia collettiva, trascinata a zonzo da un'autistadonna stile supersize-Terminator!Peccato non aver inserito i sottotitoli in inglese, ho faticato molto a seguire lo slang di questi ragazzi, e sicuramente ho perso qualcosa dei dialoghi. Ma la potenza dell'idea narrativa e dei sentimenti mi ha fatto comunque apprezzare il film, anche se, forse per la stanchezza (solo 3 ore di sonno alle spalle!), ho sofferto un po' verso a fine.
Ma tutti gli sforzi sono stati ricompensati dall'apparizione di una vecchia conscenza: dopo averlo tanto evocato durante CinemaSpagna (senza sortire l'effetto di vederlo riapparire al Farnese), ecco che stasera, invece di guardare un film del Concorso principale, Nanni ha deciso di venire all'apertura della Quinzaine...vedere foto per credere (è quella testolina non allineata, un po' reclinata!). Insomma, diciamolo: mi segue!!
A domani per il resoconto della seconda giornata a Cannes!
sabato 12 maggio 2012
CinemaSpagna - Saluti da una spettatrice VIP

Farnese CinemaLab - Gli studenti incontrano il cinema
Le ultime settimana di matinèe al Cinema Farnese Persol sono state intensissime, tanto che non sono riuscita a tenere il passo con il blog per darvi conto di tutto. Sono stata letteralmente sommersa da una caterva di domande da parte di studenti delle medie dopo la visione di Hugo Cabret: ma Melies è esistito davvero? L'automa lo ha costruito veramente? Le sue macchine sono conservate da qualche parte? E tante altre domande, perchè gli studenti delle medie normalmente, rispetto ai loro colleghi più grandi, hanno meno remore, non subiscono ancora i condizionamenti del gruppo e lasciano andare la loro curiosità attraverso una selva di mani alzate. Evviva!
Ma davanti a due film impegnativi come Romanzo di una strage e Diaz, anche gli studenti delle superiori, rispettivamente del Liceo Majorana e del Vittoria Colonna per il primo film, in due differenti giornate, e del Liceo Gassman per il secondo, hanno dimostrato di aver seguito i film con interesse (testimoniato dal silenzio con cui ascoltavano le mie parole e quelle degli ospiti e dalle domande di spessore che hanno fatto). Gli studenti del Majorana e del Vittoria Colonna si sono dovuti accontentare della sottoscritta, perchè purtroppo Marco Tullio Giordana non è riuscito ad intervenire in quanto lontano da Roma, nonostante la grande disponibilità dimostrata davanti al mio invito, ma abbiamo provato, insieme al mitico prof. Centola e alla prof.ssa Palombelli, a rispondere a cioò che ci veniva chiesto. Non è stato facile, di fronte a domande del tipo: " Quali sono state le conseguenze di quanto accaduto a Piazza Fontana, sull'oggi, su come viviamo la politica?"; " Quando si è smesso di sparare e si sono potuti considerare finiti i cosiddetti anni di piombo?"; "Ma le basi Nato di cui si parla nel film sono una pista reale?"; "Come è possibile fidarsi di uno Stato quale quello rappresentato nel film?". Ma è bello mettersi in gioco di fronte ai ragazzi, raccontare loro dati, ciò che si è letto, che si è studiato, ma anche i risultati di una riflessione personale che io, quanto i professori, abbiamo sicuramente eleborato e trasferito nelle nostre risposte. Con l'intento, sia ben chiaro, non di proclamare delle verità, ma di insegnare ai ragazzi a porsi il problema di fronte alle cose che vedono, leggono, sentono, ad incuriosirsi e fare in modo che possano, attraverso tutti i canali che hanno a disposizione, pensare criticamente e farsi un'opinione personale.
Più fortunati gli studenti (anche se in maggioranza ragazze) del Liceo Gassman, che hanno avuto la fortuna di avere in sala, dopo la proiezione del film, il regista, Daniele Vicari, il produttore, Domenico Procacci, e il regista del documentartio Black bloc, Carlo Bachschmidt, oltre alla sottoscritta e alla prof.ssa Di Lunardo. Un'ora intensa di domande, di risposte, di racconti, che hanno portato il discorso su argomenti importanti, la politica, nel senso più ampio e più alto, la responsabilità personale, la democrazia, la sua assenza, il ruolo del cinema, la giustizia, la tortura, la Tobin tax, il Genova Social Forum, il movimento di Seattle. Il tutto non in maniera astratta, ma partendo dalla vicenda Diaz, dall'esperienza dei due registi, dalle vittime, dagli atti processuali, dalle testimonianze anche di quei poliziotti che hanno accettato di incontrare il regista. E cercando di parlare a dei ragazzi con idee anche diverse e con la possibilità di contestare il film, come quella ragazza che ha chiesto: "Perchè ha voluto fare un film che denigrasse la polizia?" (questo il senso, non ricordo le parole precise). E dopo aver invitato gli altri studenti a rispondere, è stato interessante ascoltare le risposte di Vicari, quelle di Procacci e il racconto di Bachschmidt sul suo documentario, su ciò che ne è stato del Genova Social Forum, come chiesto dalla professoressa. Un'ora che ha rappresentanto un momento altissimo dell'esperienza di Farnese CinemaLab, che si nutre proprio dell'incontro tra le giovani generazioni e il cinema di qualità e, quando possibile, dell'incontro anche con chi questo cinema lo produce, lo fa, lo proietta, lo studia e cerca di portarlo all'attenzione del cosiddetto pubblico giovane.
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