domenica 20 maggio 2012

Quarto giorno da Cannes: dell'amore e della morte

Amour. Love. Liebe. In tutte le sue declinazioni. Ma soprattutto attraverso il racconto dei corpi. E non solo nel senso del coinvolgimento sessuale, come in Paradise:Liebe, dove il sesso rappresenta una ricerca malata e disperata d’amore, ma perché la malattia dei corpi, messa in scena in diversi film di questo festival,  porta a galla la verità dei sentimenti più profondi, le malattie dell’anima, a volte, o quella parte più intima e nascosta che difficilmente riusciamo ad esprimere.  Così per la figura del padre di Beasts of the southern wild, così per la bella e brava Marion Cotillard in Rust& bones, così, in maniera struggente, nel bel film di Haneke: Amour, appunto.  La sensazione è stata quella di spiare, senza accezioni negative, ma entrando in punta di piedi, guardando da una porta appena socchiusa, la vita quotidiana di una coppia benestante, di una certa età, che è legata da un amore profondo. La malattia di lei entra nei gesti quotidiani, paralizza la scena (splendide inquadrature fisse, ad incorniciare, attraverso le porte, questo scorcio di amore). Di una grande eleganza e tenerezza  le scene in cui George abbraccia Anne per aiutarla a spostarsi dalla sedia a rotelle al bagno, al letto. Beh, il braccio di lei intorno al collo, il trascinarla delicatamente di lui, dei gesto fatti  e ripresi così bene, mi sono sembrati un momento di danza,  quasi un accenno di ballo tra marito e moglie. Riprese e toni asciutti, senza sbavature, senza pietismi, senza sentimentalismi. Eppure, i  tre quarti del pubblico (e parliamo di 2500 persone), erano  lì che singhiozzavano (piangere non sarebbe il termine giusto!), letteralmente e sonoramente. Perché l’amore, davanti alla morte è potente, straziante, e il bellissimo racconto per immagini di Haneke lo porta diritto al profondo di ognuno di noi, facendo emergere, come un fiume in piena, attraverso quelle lacrime irrefrenabili,  la paura e/o  il ricordo della sofferenza . Quella di coloro che amiamo, la nostra, il passato, o il timore per il futuro. Ma soprattutto il confronto con qualcosa che possiamo rimuovere, ignorare, ma che fa parte della vita e che sappiamo di dover affrontare, prima o poi: la morte.  Nel film Haneke  paga un piccolo tributo anche al cinema. Il protagonista, che fa dei racconti il suo speciale strumento di sollievo per la sofferenza della moglie, racconta di come, da bambino, un film gli avesse provocato forti emozioni, e nel raccontarlo ad un conoscente, queste emozioni fossero riemerse, senza riuscire a fermarle, proprio come è accaduto a me davanti ad Amour.   “Non ricordo quale fosse il film, ma ricordo ancora le emozioni che mi aveva suscitato”. Non trovate che sia una splendida dichiarazione d’amore?                       La morte si ritrova, trattata anche in forma di commedia, in Granny’s mother, il film visto nel pomeriggio alla Quinzaine.  L’ironia su un uomo che non riesce a crescere, a scegliere tra la moglie e l’amante, tra una modernissima compagnia di pompe funebri , dove i modelli delle bare sono proiettati a mo’ di ologrammi girevoli e quella più ruspante dove il titolare, chitarra in spalla, canta sulla tomba accompagnato dai tamburelli del suo aiutante, fa girare bene questa commedia. Un uomo che scopre, alla morte della nonna, che questa era una donna appassionata, che aveva amato un uomo sposato, un mago e ne aveva conservato le lettere tutta la vita. Insomma, un film che potrebbe essere parafrasato con “Una risata vi seppelirà”.  Doppi sensi, battutacce, un momento di relax, in una giornata inziata con le lacrime per il film di Haneke e finita con quelle del film argentino di Avila (anche il cielo si è unito a questo pianto generale visto che non ha smesso di piovere quasi tutto il giorno! P.s. Nel mezzo di tutto ciò ho visto anche un film inglese, Broken, ma non vale la pena scriverne…).
  Ora, che io sia un caso patologico di lacrime, è un dato di fatto. Ma vorrei spiegare che le lacrime per questi film non sono pura e semplice commozione. Non si tratta di una scena o una storia triste…a volte, si tratta proprio di emozione alla stato puro, di solidarietà. Come accaduto con il film argentino Clandestine Childood.
 Non una lacrima durante il film (o forse solo in un momento, ndr), ma quando, durante gli applausi finali, il regista è scoppiato in lacrime ed era due file dopo di me, beh….non ce l’ho fatta! Già sono sensibile agli applausi (anche se non sono per me, quando sono sentiti e più sonori del solito, non resisto!), ma la sua commozione per aver raccontato la sua storia personale attraverso il film, e perché il film è stato apprezzato dal pubblico, mi hanno steso al suolo definitivamente.
Davvero un bel film.  Intanto, ha un’originale trovata di inserimento di immagini disegnate, una graphic novel inserita nel film in diversi momenti, quelli cruciali. La storia quella di un’infanzia rubata, clandestina, come dice il titolo, perché vittima delle scelte degli adulti, di genitori impegnati in una lotta armata. Siamo nell’Argentina di fine anni ’70, e il bambino protagonista, Juan, è costretto a diventare Ermesto, a festeggiare un compleanno che non è il suo, perché i genitori e lo zio fanno parte del gruppo di lotta Monteneros, che si oppone, con la lotta armata, alla giunta militare. Lo sguardo del bambino sulle cose degli adulti, su ciò che ascolta nascosto da una colonna, la sua vita inventata a scuola, il primo amore, un rapporto speciale con lo zio Beto che gli spiega cos’è l’amore attraverso le nocciole ricoperte di cioccolato, fanno del film un gioiello da custodire. Ritmo, sogni, cambi di luce, il canto, la musica (così come era presente,in maniera fondamentale, in NO di Larrain…che il canto sia  qualcosa di radicato nelle  culture argentina e cilena?), una delicata storia d’amore adolescenziale e la storia di morte di coloro che, con le parole di zio Beto, pensano che “ la felicità non è sorridere, ma credere, avere una fede”, e lottare, fino alla morte, se necessario, per questa fede.  Assolutamente da non perdere.  
E domani mattina: Resnais! Con il mio adorato Mathieu Amalric.
Quanto amo questo festival! Anche sotto la pioggia...mai vista una croisette così deserta!!                                              



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