Niente sole, almeno in mattinata, ma ancora tanto cinema! Il primo film della
giornata è stato Operation Libertad, alla Quinzaine, un film che tocca un altro
tema che ho trovato trasversalmente trattato in diversi film. Quello della rivoluzione,
dell’attivismo politico, della lotta armata. Solo che in questo caso non
parliamo dei caldi paesi del Sud America, ma della vicina Svizzera. 1978, un
gruppo armato rivoluzionario decide di compiere un’azione per interrompere i
depositi di denaro in banche svizzere di
un presunto collaboratore di Pinochet. E soprattutto di far riprendere tutto il
loro operato da un collaboratore, che è poi la voce narrante del film. Ma il
problema è che questo gruppo ha poche idee ma confuse, e soprattutto una
goffaggine degna delle comiche, e quindi anche i momenti più drammatici si trasformano
in farsa. Carino, godibile, ma un tantino forzato, soprattutto nel prologo e
nell’epilogo. Dopo un rapido spostamento lungo la Croisette, giungo alla Sala
Lumiere dove mi attende il film di Ken Loach. Che dire? Una boccata d’aria
fresca, un po’ di risate non guastano, dopo tanto piangere. Una favola, perché tale
si può definire la storia di Robert e dei suoi compagni di lavori socialmente utili ,da effettuarsi a mo’
di pena da scontare per reati minori. Alla
ricerca della felicità, del riscatto, di una possibilità, che viene loro
offerta dal whisky prodotto nella zona. Non c’è bisogno di sapere di più, per
godere di questa storia a lieto fine, farcita di slang, gag, battute. E sono
certa che si scatenerà la solita diatriba sul Ken Loach dell’impegno, dei tempi
antichi, che non c’è più. Ma, se The Angel’s share si allinea, nei modi
e nei toni, a Looking for Eric, meglio questo che l’ultimo esito di un tema un
po’ più impegnativo quale voleva essere L’altra verità (inguardabile). Seguiamo
volentieri Ken Loach sulla strada più leggera di questo tipo di racconto. La
sala Lumiere rimbombava del fragoroso applauso finale, quasi liberatorio e del
successivo battito di mani a tempo di musica, della canzone sui titoli di coda,
quasi come al concerto di Capodanno! Forse avevamo tutti bisogno di una risata,
dopo giorni di film che hanno colpito duramente
allo stomaco. Ma, per non far
durare troppo questo effetto benefico, alle 14 ero già in fila per vedere White
Elephant (dove tra l’altro ho incotrato Mary Nazary, di Mosca, giurata insieme
a me lo scorso anno...una bella chiacchierata per ingannare l’attesa!)…. Beh,
avete letto i miei resoconti in questi giorni, non è che ci sia andata leggera,
ma vi posso assicurare che questo film mi ha scosso in maniera particolare. Mi ha fatto sentire in colpa, per essere qui,
contenta, a godermi una settimana di ferie, di festival, di glamour, grazie
anche alla possibilità di farlo. Lo so, può sembrare una riflessione
qualunquista, ma davanti al racconto di questo slum argentino, alla vita di
questa gente con nessuna prospettiva, alla quale i preti della parrocchia
locale cercano di dare un senso e un aiuto concreto nella costruzione di una
casa, beh…mi sono sentita in colpa perché ho avuto la fortuna di nascere
qui e non lì, qui, nella mia famiglia e
non lì, in questo elefante bianco di mattoni, mai finito, che sembra un girone
dell’inferno in terra. Ben raccontato, con una macchina da presa mobilissima,
dei piani sequenza (io amo i piani sequenza!) lunghissimi, e i fantastici occhi
blu di Riccardo Darin, che da soli potrebbero sostenere un intero film senza
aggiunta di parole. Poi ho fatto l’ennesimo
tentativo con un film iraniano (Kissing the moon-like face, ma anche questa volta sono corsa via dopo 10
minuti. Nei tre film iraniani che ho provato a vedere tra ieri ed oggi ho notato
una cosa: gli iraniani di questi film parlano tanto, e a voce alta, e infatti
dopo cinque minuti di proiezione avevo un cerchio alla testa!! Comunque ho lasciato l’Iran
per volare in Colombia, con La Sirga, film colombiano della Quinzaine des realisateurs. Un
film nel quale si entra con un po’ di fatica iniziale, ma che poi ti assorbe,
ti immerge in questo mondo pieno d’acqua, di vento, di temporali, di carbone,
dove la giovane Alicia tenta di ricostruire un’esistenza. Gesti semplici, la
raccolta degli ortaggi, il taglio di un cavolo, due statuine scolpite nel legno
quale pegno d’amore. Riprese quasi pittoriche, nella cornice di una finestra
appena riparata, per rendere la casa, La sirga, accogliente per dei turisti
eventuali che tali resteranno. Un amore
che chiede di andare. “Where?”, chiede Alicia. “Anywhere” è la risposta. Domani mattina gli ultimi due film in
concorso, e poi…si parte.
Ma questa sera, per festeggiare il festival, mi sono
concessa il primo vero pasto di tutta una settimana.
Le foto parlano da sole…una
porzione di cous cous au poisson e un tortino al cioccolato fondente con cuore
di pistacchio, arancia candita e mandorle tostate da premio!
Ma soprattutto,
dopo cinque giorni di pioggia, finalmente è tornato il sereno, regalandomi la
luce che vedete nelle foto, scattate a
Juan Les Pins verso le 2030….che meraviglia questi luoghi! Il resoconto finale,
con tanto di considerazioni e mia personale assegnazione di palme è rimandato a
domani...
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