domenica 9 settembre 2012

Ancora film dal pianeta Venezia (fuso orario 4 giorni!)

La mattina di mercoledì si è aperta con l’atteso film di Bellocchio, Bella addormentata. Atteso per il tema, lo spunto presente nel film circa la vicenda di Eluana Englaro e la questione sul fine vita, atteso perché un film di Bellocchio normalmente lo è… Un film riuscito, almeno nel complesso, che è mediamente piaciuto, pur con delle riserve, anche da parte mia. Perché se la storia, i personaggi, la recitazione, e varie componenti, sono ben congegnate quando ruotano attorno alla figura dell’onorevole Uliano Beffardi, ai suoi dialoghi con uno strepitoso Herlitzka nella parte dello psichiatra dei parlamentari, al suo rapporto con la figlia, e al suo interrogarsi sul voto da dare in parlamento, altrettanto bene non si può dire delle altre storie che si intrecciano, quella molto simbolica (ma senza esserlo fino in fondo, e quindi l’aggettivo giusto sarebbe più irrealistica che simbolica…) con Maya Sansa e Piergiorgio Bellocchio, e quella che vede protagonisti la Huppert, Gianmarco Tognazzi e Brenno Placido.  E durante quell’episodio , messo al centro, temporalmente, della narrazione, il film si siede. Così come, una Maya Sansa bellissima, con una scollatura che mette in mostra le sue bellezze, appare sin dalla prima scena e mi disturba dal quel momento, per quella voluta e cercata ostentazione della sua bellezza, reiterata nella scena finale in cui, nel tentativo di salvarla dal gettarsi dalla finestra, si mette in mostra il pezzo di sotto del bikini di cui in precedenza si era mostrata la parte superiore.   Vero che è lei a rappresentare una bella addormentata, almeno nella parte simbolica del film, ma a me questa scelta non è piaciuta. 
Ma il film ha riscosso comunque, in generale, un gradimento, e Bellocchio, forse per questo, era particolarmente contento , spiritoso e disinvolto in conferenza stampa. Ad un giornalista che gli ha chiesto se il suo fosse un film politico ha risposto: “Mi viene in mente quel film di Moretti in cui si dice: ma la lotta di classe, dov’è la lotta di classe?

Subito dopo è stata la volta di O GEBO E A SO OMBRA, il film di Manuel de Oliveira. Un film stellare, nel cast, se vi nomino Micheal Londsdale, Claudia Cardinale, Jeanne Moreau, per citarne alcuni. Un film basato su di una piece teatrale e che tale impianto teatrale si porta dietro. Un film di parola, quasi completamente girato in un’unica stanza, anzi, oserei dire, in un’unica parte della stanza, visto che la camera è pressochè fissa ad inquadrare Micheal Londsdale che scrive, lavora, facendo i conti, e chi si siede accanto a lui, la moglie, la nuora, un amico.  E qui, in questo film così lontano dagli altri del festival , si tocca un tema già presente in un film diversissimo, come Pietà di Kim Ki-duk, cioè quello del denaro, intorno a cui ruota la vicenda familiare rappresentata. Perché è il denaro che manca a questa famiglia, che vive in ristrettezza, è il denaro che il padre conta e annota, facendo il contabile, è il denaro che il figlio sciagurato, prima assente e poi figliol prodigo senza pentimento, ruba gettando la sua famiglia nello sconforto e soprattutto il padre in galera, visto che si assume la responsabilità del furto. E alle parole di conforto che cercano di rivolgersi, questo padre, agnello sacrificale, risponde: “Quando si toccano i soldi, non si perdona mai.”. Bello ma faticoso nel vedersi per il suo impianto narrativo.
Pausa da visioni per assistere alla conferenza stampa di Spring Breakers e Bella addormentata e poi nel pomeriggio è stata la volta del consueto appuntamento con il film delle 17 in Sala Darsena, per le Giornate degli autori. Sto parlando di Heritage di Hiam Abbas, una regista palestinese, famosa soprattutto come attrice (la ricorderete nell’Ospite inatteso, protagonista de Il giardino dei limoni e tanti altri film).  Il film, Heritage, racconta la storia di una famiglia palestinese che sembra aver raggiunto un punto di rottura. Ogni componente della famiglia ha il suo dramma, chi sta fallendo economicamente, chi nel suo matrimonio, il padre che va in coma, la figlia che cerca di vivere il suo amore per uno straniero, ribellandosi ai dettami della sua cultura e delle tradizioni…ed è questo certamente l’episodio centrale, che indaga, in questo come in tanti altri film di questa mostra, la condizione della donna raccontata da una regista donna, anche se la stessa Hiam Abbas, nell’incontro a fine film, ha preso le distanze dal concetto di solidarietà femminile con cui si voleva etichettare il film, perché a lei interessa l’essere umano, e vanno tralasciate le distinzioni tra i sessi, le divisioni, e tutti i personaggi, uomini o donne che siano, hanno in sé il bene e il male, non solo di quella società ma del genere umano.  Discreto.

Subito dopo è stata la volta di un film che invece mi ha molto colpito, tanto  che l’ho seguito con un groppo allo stomaco (o forse era la fame, direte voi?). Sto parlando de La Cinquieme Saison, un film potente, evocativo, che mi è piaciuto molto, ma che sicuramente non è per tutti (lo dico a tutela di amici che, bontà loro, seguono i miei suggerimenti cinematografici. Sicuramente possono vederlo Antonella, Alessandro, Andrea, Dompa…astenersi non cinefili!).  Un film sulla natura, ma soprattutto sul legame tra l’uomo e la natura, in un rapporto proporzionale di distruzione, di regresso. Accade dunque che la natura si ribelli, nel film, non attraverso le catastrofi che possiamo immaginare, ma in un percorso di sottrazione, in cui le stagioni non esistono più, la legna non brucia, il seme nella terra non germoglia e tutto torna indietro, specialmente l’uomo, ad una primitività mostruosa. E la felice collettività che ballava compatta sulla collina per salutare il generale inverno (con delle immagini straordinarie, che sembrano uscire dal pennello di un pittore), regredisce compatta fino a perdere le individualità nascoste dietro una maschera bianca che non perdona coloro che, pur nella tragedia, un volto, una responsabilità, una coscienza, un pensiero critico lo hanno ancorae che preferiscono essere "l'uomo del paradosso che del pregiudizio." Il tutto intervallato dal racconto del rapporto tra il suo padrone e il gallo Fred, in una sorta di sintesi e profezia della parabola tragica di un mondo che, come il gallo Fred, non canta più, a causa di un branco di struzzi…meditate gente!

Dopo aver trangugiato un Veggy Smith sandwich, insieme a Donatella ho visto Bellas Mariposas di Salvatore Mereu.  Film che mi ha strappato qualche risata, con lo strampalato racconto di una ragazzina che dialoga con la macchina da presa che la sta riprendendo, nel raccontare la sua sconclusionata famiglia che vive nella periferia di Cagliari. Ma, devo essere onesta, non mi sento di dare un giudizio sul film, perché molto spesso, durante la proiezione, la palpebra andava giù. Mi è sembrato ci fossero buone  idee, forse tutte non pienamente riuscite nella realizzazione, ma non sono uscita inorridita…giudizio sospeso.

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