Una domenica in Mostra
Domenica, quarta giornata dalla Mostra. Il film di apertura
è stato uno dei più attesi, cioè The Master, di Paul Thomas Anderson. Un film lungo, a cui come al solito avrebbe
giovato una piccola sforbiciata (sono per le durate più contenute...tranne per alcuni intoccabili registi che possono permettersi qualsiasi cosa!), ma comunque un film di quelli che si tende a
definire “un filmone”, con tutto il buono e il cattivo che tale connotazione
porta con sé. Un film girato benissimo,
manco a dirlo, che magari, proprio per la lunghezza e il reiterarsi dei temi e delle
situazioni, si vede con un po’ di fatica, ma che comunque dovrebbe essere
visto, e rigorosamente in originale, per la maestosità, incredibile e superiore
qualità, l’eccellenza, e tutti i sinonimi che riuscite a trovare, di Philip
Seymour Hoffman, che giganteggia con il suo volto, le sue espressione e,
soprattutto con la sua voce. Voce con cui il suo personaggio predica,
pontifica, urla, canta. Coppa Volpi, almeno per me. Scandaloso se così non fosse. A fare da contraltare a questo “sacerdote” della nostra moderna
ricerca di senso, quale che sia la strada per raggiungerlo, il suo doppio, il
suo negativo, biondo e tronfio il primo, tanto scuro e cupo, e fragile il
secondo. In un confronto serratissimo in cui tutto il resto non è che un grande
“affresco” di contorno, per usare un’espressione abusata nelle descrizioni di
film. E lo scuro, cupo, rabbioso personaggio è interpretato da un altrettanto
bravo Joaquin Phoenix, che forse a volte calca un po’ la mano
nell’interpretazione. Ma che ha suscitato in me delle emozioni estranee al
film, ricordandomi tanto, in alcune espressioni, con l’onda nei capelli, in
diversi primi piani, e uno sguardo verde ed intenso, il volto di mio padre.

Dopo un lauto pranzo domenicale da Scarso, con la bella e
ridanciana compagnia di Surinder, Morris, Donatella e Loredana, è stata la
volta di Clarisse, un documentario della Cavani girato nel convento delle
clarisse di Urbino, con cui discute della loro vita, ma, anche e soprattutto,
con esiti sorprendenti, della condizione della donna e del suo ruolo nella
Chiesa. Sorprendenti, comunque, fino ad un certo punto, perché non ci si deve
mai lasciar guidare dagli stereotipi, e quindi pensare alle suore come donne
con una mentalità arretrata o censurata dal loro essere consacrate. Una
testimonianza viva, bella, sincera, che fa davvero piacere ascoltare. "Siamo considerate inutili, perchè la preghiera è ritenuta inutile; è un'azione potente ma apparentemente senza potenza."
Fuggita dal film di Gitai, ma perché tutto parlato, essendo
una testimonianza, che non potevo reggere dopo il pranzo da Scarso, mi sono poi
concessa una pausa, per proseguire con il francese Cherchez Hortense, di Pascal Bonitzer, consigliato da molti. Una commedia con tante sfaccettature, molto ben
scritta, ben recitata e ben diretta, che è stato davvero piacevole guardare nel
pomeriggio in cui sono arrivati i primi cedimenti di stanchezza. Ve ne lascio una battuta. Durante un pranzo in cui, attraverso gli atteggiamenti che il padre ha nei confronti del cameriere, il figlio scopre, lui cinquantenne, che il padre ottantenne è gay, alla domanda diretta il padre risponde: "Non mi piacciono i ghetti identitatri ridicoli!".
Purtroppo non così è stato per il film successivo, Outrage
Beyond di Kitano. Lo so, sento già i miei colleghi che mi dicono “ te lo dovevi
aspettare, è un film giapponese”, ma questa è una lunga storia che nasce dalle
nostre esperienze quotidiane, e che niente dovrebbe avere a che fare con il
cinema! E invece! Ammetto il mio limite, ma sebbene riesca ad apprezzare la
bravura della messinscena, della direzione, non così accade per il film nel
complesso, e non riesco mai a capire se si tratta di me, o del valore del film.
Poi sentire tutto il tempo l’eco delle voci di Tokito (per dirne uno, per chi lo conosce!) aveva un suo macabro
aspetto di ricordarmi che la prossima settimana devono tornare in ufficio, ferie finite! Quindi, mi astengo
dal giudizio, dichiarando la mia insofferenza per le due ore che ho vissuto in compagnia di questo film.

Per fortuna, e avevo già avuto rassicurazioni in merito da
chi lo aveva visto, la serata si è conclusa con il film della Bier, All you need is love. Bier, devo dire, che avevo trovato sopravvalutata
nel suo film precedente, e quindi temevo il peggio. Invece si tratta di un film
che si lascia guardare piacevolmente, senza infamia e senza lode, con contorno
di limoni, sole, mare, amore, Sorrento, e ovviamente mandolini, colpi di scena
(se vogliamo così chiamarli), happy end e un Pierce Brosnan che mette in mostra
sia la sua beltà che la sua pancia, ma credo, mostrata senza infingimenti
perché prevista da copione! Come a me ha mostrato la sua stempiatura! Ma anche il suo bel sorriso!
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