Il quarto giorno si è aperto con un film che attendevo da molto tempo, si può dire un anno. Sto parlando di Terraferma di Crialese. Avrei dovuto scriverne subito, perché i pareri che ho sentito intorno a me contrastano con la mia idea, e mi fanno riflettere. Dovete sapere che vedere un film ad un festival non è la stessa cosa che vederlo in sala. I motivi sono tanti: la stanchezza infinita con cui ci si trascina da una proiezione all’altra, l’overdose da immagini che cambia la percezione, le soglie di tolleranza e ovviamente tutto ciò influisce sull’idea che ci si fa di un film. Non voglio dire che le impressioni che vi ho scritto e continuerò a scrivere non siano vere, ma a volte posso subire aggiustamenti con il tempo. Allora, uscita dalla proiezione, la mia istintiva impressione era quella di un film positivo, che mi ha preso e mi è piaciuto. Sicuramente il confronto con i precedenti film dello stesso regista lo rende perdente. Questo è un film meno artistico, meno ricercato, ma per questo forse più accessibile ad una platea allargata e come detto dal regista in conferenza stampa, volutamente semplice, “fatto per il mio pubblico ideale, cioè un bambino di 7 anni.” Il regista ha anche fortemente sottolineato di non fare “film per tema o tesi…ma un film è una storia. (…) C’è una grande dignità e lezione di vita nelle persone che vivono la tragica esperienza degli sbarchi e la risposta dello stato è inadeguata. Lasciar morire gente in mezzo al mare è segno di grande inciviltà. (…) C’è un problema di rotta, di direzione morale. Il mio pescatore la rotta la sa e ce l’ha, la sua direzione morale. Il finale con la barca sola in mezzo al mare, in balia delle onde, ci dice che i protagonisti sono soli, non sanno dopo dove andare, perché non c’è una comunità intorno che li guidi fino alla loro terraferma.” La polemica con una giornalista che accusava il film di ambiguità sulla reale punibilità dei pescatori che raccolgono “clandestini” dal mare è stata molto accesa e vibrante, altrettanto quella con chi, di segno opposto, ha accusato il film di essere troppo poco polemico nei confronti delle istituzioni. Io ho visto il film come il racconto di una grande confusione. I protagonisti non hanno le idee chiare su come comportarsi di fronte a quanto vivono, perché anch’essi sono alla ricerca della loro terraferma. Una storia di poveri che incontrano altri più poveri di loro. E la tanto contestata scena della barca con i turisti che ballano secondo me è la giustapposizione di due mondi che sembrano coesistere nello stesso luogo, diametralmente opposti, ignorandosi a vicenda. Non mi resta che lasciare a voi giudizi e discussioni e ne riparliamo dopo che avrete visto il film. Dopo un veloce pranzo consumato al volo mentre camminavo verso il Palabiennale, si è presentata ai miei occhi la grande delusione del festival. Il film della Satrapi, Pollo alle prugne, con il tanto adorato Amalric, non è mi è proprio piaciuto. Gli ingredienti potevano esserci tutti. Autrice, attore, l’animazione. Quello che ne è venuto fuori, a mio parere, è una favoletta mal riuscita, che sembra più un polpettone in salsa acida che un gustoso e dolce pollo alle prugne. E non basta prendere un attore bravo come Amalric, brave attrici, mettere qua e là dell’animazione, per dare quel tocco stralunato, romantico, e ironico che poteva avere un film quale Ameliè, a cui il film sembra volersi ispirare, almeno nei toni. Mia stanchezza personale a parte, sicuramente il film non è all’altezza di quanto ci si aspettava dall’autrice di Persepolis. Il pomeriggio mi ha visto ligia a miei doveri istituzionali di giurata, con la visione di I’m Carolyn Parker: The Good, The Mad and the Beautiful. Un film che racconta la testimonianza di una sopravvissuta dell’uragano Kathrina e della storia della ricostruzione della sua casa, delle sue battaglie per la ricostruzione della chiesa. Interessante, la protagonista davvero simpatica, ma, come al solito, troppo lungo. Il tocco finale della giornata è stato il film di Solondz, Dark Horse. Per fortuna una conferma. Con la sua ironia, i suoi personaggi stralunati, le battute ciniche e l’aria di raccontare un pianeta diverso, Solondz è riuscito ancora una volta a soddisfare le attese. Coerente con sé stesso, il film è tragicamente divertente mentre racconta il disagio, la tragedia che solo la solitudine, la mancanza di ascolto e la grettezza umana è in grado di generare. Da vedere, con precauzioni d’uso per chi non ha mai avuto un contatto ravvicinato con Solondz. Avrei dovuto vedere anche The Invader, ma non sono riuscita ad entrare in sala… la rabbia e la frustrazione della serata sono per fortuna sbollite, e pertanto vi rimando a stanotte per il resoconto di questa quinta giornata al Lido!
Nessun commento:
Posta un commento