Oggi è stata una giornata piovosa, grigia, che si è ripresa solo a metà strada. Ma questo non mi ha impedito di essere presente all'appello, alle ore 9, nella Sala Perla, dove ormai sto trascorrendo le mie giornate, tanto che ho familiarizzato con gli addetti alla sicurezza e all'ingresso e stasera ci confrontavamo bellamente sui film della sezione!! Calcio d'inizio con The Invader, di Nicoleas Provost. Ambientato a Bruxelles racocnta la storia di un immigrato clandestino, Amadou, che si invaghisce di una donna bella e di successo, sperando che possa anche aiutarlo ad emergere dal mondo di clandestinità in cui è costretto a vivere e che lo costringe a presentarsi per quello che non è. Ma la donna, impersonata da Stefania Rocca, dopo un primo cedimento al puro godimento sessuale, scropre l'inganno, scopre la vera identità dell'uomo, che comincia ad essere anche piuttosto ossessivo, e tutto va nel perggiore dei modi, facendo esplodere la rabbia e la violenza di Amadou. Mi hanno molto colpito le scene iniziale che potremmo definire di video-arte, e comunque una scelta stilistica particolare per gli edifici, le linee, tutto molto moderno, grandi vetrate che stanno quasi a rappresentare fisicamente anche l'occhio della telecamera che passa attraverso di esse per scrutare nelle vite dei protagonisti. Qualche incoerenza di sceneggiatura, un film che sembra non compiuto, ma che, paragonato ad altri della sezione, ha qualche carta in più.
La mattinata è proseguita con Cavalli, un film italiano, preceduto dal corto “Prove per un naufragio della parola” di Elisabetta Sgarbi. Il corto mi è piaciuto tantissimo, d'altronde aveva tutti gli elementi: Fabrizio Gifuni e Sonia Bergamasco interpreti, le musiche di Battiato con una splendida Canzone dell'amore perduto sui titoli di coda...insomma, grande entusiamo.
E poi il baratro. Il film Cavalli. Mi dispiace dirlo, ma l'ho trovato orribile, davvero al di sotto di ogni minimo livello di accettabilità. Come lo ha definito il nostro Mario di Farnese CinemaLab, uno spaghetti “scotti” western, dove a bollire troppo e scuocersi sono state sia la sceneggiatura che la regia che tutto il resto. Non si capisce bene l'epoca, l'ambientazione geografica (si parla di un confine sulla montagna, ma se si tratta di Italia, come mai i protagonisti parlano tutti un mezzo romano?), siamo comunque nell'800 e uno dei protagonisti porta la sua fidanzata all'osteria come se fosse la cosa più naturale del mondo, per far parlare un padre e un figlio che non lo hanno mai fatto (e i padri dell'epoca non credo cambiassero in fin di vita)...quattro cavalli uccisi, tutte le disgrazie possibili a catena, o con quelle che in gergo si chiamano le telefonate (cioè eventi che si concatenano, si rimandano l'un l'altro per reggere una storia che non c'è!). Tutto talmente e banalmente prevedibile che avremmo potuto fare scommesse in sala. E poi un padre morente che poi si rimette in piedi per morire poco dopo, un rancore covato che si scatena solo in seguito ad un incontro casuale....e potrei continuare per ore per distruggere pezzetto per pezzetto l'impianto narrativo, che non regge. A mezz'ora dalla fine quasi tutto il pubblico dietro di me pregava perchè lo strazio finisse. Da perdere.
Il pomeriggio ha avuto invece una svolta poetica. Io sono Li è il nuovo film di Andrea Segre. Mi è piaciuto molto, una bella storia che racconta dell'incontro di due mondi, quello di un gruppo di pescatori di Chioggia, e quello di Shung Li, una ragazza cinese che lavora in un bar. L'assidua frequentazione del bar da parte del gruppo di pescatori porta Shung Li a familiarizzare soprattutto con uno di essi, Bepi, il poeta, perchè è forse quello più disposto a scroprire il mondo che Shung Li porta dentro di sé. Un rapporto delicato, pieno di tenerezza, di poesia, che però viene interrotto dalla brusca realtà in cui si trova la ragazza, costretta a sottostare alle regole dettate dai suoi padroni, che non vogliono familiarità con gli italiani. Il rapporto viene troncato bruscamente, così come forse lo è il film, nel senso che la svolta finale è forse affrettata e non ben delineata come avrebbe dovuto. Ma è piccola pecca di fronte alla bella interpretazione della protagonista, e alla delicatezza e dolcezza di un film che però sa anche parlare della contemporaneità e dei suoi problemi più scottanti.
Dopo una breve pausa e una bella chiacchierata con Giuliana, del mitico cinema Edera di Treviso, mi sono tuffata in una nuova proiezione, Amore Carne, di Pippo Delbono. Un film speciale, sicuramente non convenzionale, ma un viaggio attraverso la vita, la morte, i percorsi dell'una e dell'altra, i percorsi dell'arte, le chiacchierate, gli alberghi, la madre, un parabrezza che apre il campo alla strada da percorrere, il tutto con la voce di quello straordinario attore e rgeista che è Delbono. Circondato dalla sua compagnia, che è un mondo, sottolineato da splendide musiche che danno l'idea del montaggio, è un film, un documentario, un'autointervista, un diario, insomma un viaggio da percorrere con un artista e il suo e nostro mondo. Intenso, bello, ma per palati fini. Astenersi perditempo o aficionados film commerciali.
A domani!!
La mattinata è proseguita con Cavalli, un film italiano, preceduto dal corto “Prove per un naufragio della parola” di Elisabetta Sgarbi. Il corto mi è piaciuto tantissimo, d'altronde aveva tutti gli elementi: Fabrizio Gifuni e Sonia Bergamasco interpreti, le musiche di Battiato con una splendida Canzone dell'amore perduto sui titoli di coda...insomma, grande entusiamo.
E poi il baratro. Il film Cavalli. Mi dispiace dirlo, ma l'ho trovato orribile, davvero al di sotto di ogni minimo livello di accettabilità. Come lo ha definito il nostro Mario di Farnese CinemaLab, uno spaghetti “scotti” western, dove a bollire troppo e scuocersi sono state sia la sceneggiatura che la regia che tutto il resto. Non si capisce bene l'epoca, l'ambientazione geografica (si parla di un confine sulla montagna, ma se si tratta di Italia, come mai i protagonisti parlano tutti un mezzo romano?), siamo comunque nell'800 e uno dei protagonisti porta la sua fidanzata all'osteria come se fosse la cosa più naturale del mondo, per far parlare un padre e un figlio che non lo hanno mai fatto (e i padri dell'epoca non credo cambiassero in fin di vita)...quattro cavalli uccisi, tutte le disgrazie possibili a catena, o con quelle che in gergo si chiamano le telefonate (cioè eventi che si concatenano, si rimandano l'un l'altro per reggere una storia che non c'è!). Tutto talmente e banalmente prevedibile che avremmo potuto fare scommesse in sala. E poi un padre morente che poi si rimette in piedi per morire poco dopo, un rancore covato che si scatena solo in seguito ad un incontro casuale....e potrei continuare per ore per distruggere pezzetto per pezzetto l'impianto narrativo, che non regge. A mezz'ora dalla fine quasi tutto il pubblico dietro di me pregava perchè lo strazio finisse. Da perdere.
Il pomeriggio ha avuto invece una svolta poetica. Io sono Li è il nuovo film di Andrea Segre. Mi è piaciuto molto, una bella storia che racconta dell'incontro di due mondi, quello di un gruppo di pescatori di Chioggia, e quello di Shung Li, una ragazza cinese che lavora in un bar. L'assidua frequentazione del bar da parte del gruppo di pescatori porta Shung Li a familiarizzare soprattutto con uno di essi, Bepi, il poeta, perchè è forse quello più disposto a scroprire il mondo che Shung Li porta dentro di sé. Un rapporto delicato, pieno di tenerezza, di poesia, che però viene interrotto dalla brusca realtà in cui si trova la ragazza, costretta a sottostare alle regole dettate dai suoi padroni, che non vogliono familiarità con gli italiani. Il rapporto viene troncato bruscamente, così come forse lo è il film, nel senso che la svolta finale è forse affrettata e non ben delineata come avrebbe dovuto. Ma è piccola pecca di fronte alla bella interpretazione della protagonista, e alla delicatezza e dolcezza di un film che però sa anche parlare della contemporaneità e dei suoi problemi più scottanti.
Dopo una breve pausa e una bella chiacchierata con Giuliana, del mitico cinema Edera di Treviso, mi sono tuffata in una nuova proiezione, Amore Carne, di Pippo Delbono. Un film speciale, sicuramente non convenzionale, ma un viaggio attraverso la vita, la morte, i percorsi dell'una e dell'altra, i percorsi dell'arte, le chiacchierate, gli alberghi, la madre, un parabrezza che apre il campo alla strada da percorrere, il tutto con la voce di quello straordinario attore e rgeista che è Delbono. Circondato dalla sua compagnia, che è un mondo, sottolineato da splendide musiche che danno l'idea del montaggio, è un film, un documentario, un'autointervista, un diario, insomma un viaggio da percorrere con un artista e il suo e nostro mondo. Intenso, bello, ma per palati fini. Astenersi perditempo o aficionados film commerciali.
A domani!!
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