mercoledì 7 settembre 2011

Settimo giorno dal Lido - Sokurov il salvatore

Come vi avevo anticipato questa settimana giornata dal Lido si è aperta con il film della Comencini, cioè Quando la notte. Premetto che proprio in visione dell'uscita del film, qualche settimana fa ho comparto il libro, scritto dalla stessa regista, da cui il libro è tratto, per essere preparatissima. Il libro mi aveva preso a tal punto che, acquistato il venerdì sera, la domenica mattina era già finito, con l'avidità di lettura che prende solo nelle buone occasioni. Ecco, forse la maggiore pecca del film è proprio quella di non riuscire, nonostante le intenzioni, a creare quel pathos che è il punto di forza del libro. La prima parte del film crea l'aspettativa, anche perchè la vicenda deve ancora dipanarsi, e lo fa anche attraverso dei meccanismi che uno dei giornalisti in conferenza stampa ha definito da horror, da thriller. Musica alternata ad assenza di rumore, lo sguardo sfocato della soggettiva di Manfred che mette a fuoco se indossa gli occhiali, le montagne che incombono. Il guaio è arrivato nella seconda parte del film, quando la vicenda è entrata nel clou e si sono dovute spiegare le cose. I dialoghi sono andati a costituire delle didascalie che raccontavano quello che nel libro eras un dialogo tutto interiore. E purtroppo, realizzati in modo secco, diverso da una normale conversazione, ma con quei toni lapidari e definitivi che la stessa sceneggiatrice ha ammesso essere una scelta stilistica, gli stessi dialoghi, le frasi così ponunciate hanno prestato il fianco al doppio senso, all'ilarità data forse proprio dalla loro prenetorietà a mo' di sentenza. Ecco allora la Cescon dire: “La mamma di Mafred e Albert (che li ha abbandonati, ndr) voleva molto bene ai figli, aveva preparato loro la merenda”... e la conversazione finisce lì, la scena cambia e la sala esplode in una risata incredula. Quello che nel libro è il sospetto che Mnafred nutre nei confronti di Marina, qui viene esplicitato in una accusa, e si perde quel mistero tra i due personaggi e gli sguardi torvi di Timi diventano dunque eccessivi dopo che ha esplicitato con le parole la sua accusa. E non vi cito altre battute (andremmo sull'osceno) ma verso la fine della proiezione era tutto un rumoreggiare, fischi, risate a crepapelle e il gioco cinico della distruzione della drammaticità del film. Gelo alla conferenza stampa...ma passione oltre.

Ho deciso di saltare la proiezione delle 11 per accettare l'invito delle due amiche conosciute ieri di pranzare insieme in un ristorante nella zona di Malamocco, sempre al Lido. Pranzo nel giardino, pitti tipici (quanto è buono il baccalà mantecato!) e tante belle risate con Donatella, Loredana, Surinder e e Morris!

Ma la sezione orizzonti mi aspettava al varco con la proiezione delle 1630...e direi di sorvolare sul film per passare a quella che ormai rappresenta l'arca di Noè di questo festival in balia delle onde riguardo alla qualità dei film. Sto parlando di Sokurov, e del suo Faust. E non è vero che la stanchezza può stravolgere completamente il giudizio su un film, come ipotizzava oggi Alberto riguardo la reazione dei giornalisti davanti al film della Comencini. Nonostante sia passata una settimana e siamo tutti un po' sconvolti per le levatacce, l'overdose di film, ect, questa sera, di fronte al capolavoro di Sokurov, di 2 ore e 15 minuti di lunghezza, che racconta il Faust di Goethe, con le difficoltà di testo e rappresnetazione che ne possono conseguire, nessuno si è sognato di fare alcuna ironia, ma un religioso silenzio di ammirazione ha accompagnato tutto il film. Affascinante la vicenda di questo dottore che “ha perduto il senso della vita (…) ed è un viandante che striscia tra le valli della vita”, imparando che sono tre le cose che legano gli uomini e le donne, cioè “ soldi, voluttà e coabitazione” pur essendo partito dalla convinzione che “l'amore non conosce nessun di deve”. Grande ritmo, battute fulminanti sparse qua e là: “è un pazzo? . No, è un russo”, “è sempre nervoso il vostro assistente. - Si, è un filosofo!”. La diabolica presenza sentenzia nel finale che l'uomo vuole volarre ma non sopporta la vertigine, mentre gli spettatori sono trascinati nella vertigine che il film, attraverso il meraviglioso taglio di luce scelto, la cura estrema di ogni singola inquadratua, le scene riprese con l'effetto ottico di una lente d'ingrandimento che rende dunque “obliquo” lo sguardo, le illuminazioni e la vivacità dei colori della scena del bosco e di Faust con Margarete, insomma, il saper fare grande cinema applicato ad un grande testo, riuscendo a catturare l'attenzione degli spettatori per più di due ore, è proprio solamente dei grandi, e non vi è alcun dubbio che Sokurov lo sia e continui ad esserlo. Di fronte a tali elaborazioni e produzioni, spesso mi sento piccola piccola e mi rendo conto di riuscire a percepire e penetrare forse solo parzialmente nell'abisso di cultura che viene spalancato. Si è forse capito qual è il mio film preferito, a cui avrei assegnato seduta stante il Leone d'oro?

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