Un po’ in ritardo vi riporto le impressioni della sesta giornata che si è aperta con la proiezione del film fuori concorso di Ermanno Olmi, Il villaggio di cartone. Lo attendevo da tempo, perché Olmi è uno dei miei registi preferiti, perché sapevo che nel cast c’era Rutger Hauer, perché sapevo che era un film che prendeva spunto dal tema delle migrazioni.
Ed è proprio quando le aspettative sono alte che si hanno le delusioni più grandi. Durante il film, come un’innamorata che non accetta di guardare in facci al realtà, cercavo di dirmi e di autoconvincermi che il film non mi stava piacendo perché ero stanca, provata dai giorni di festival, che era comunque lo stile asciutto e corposo di testo di Olmi. Ma scrivendo a mente fredda il giorno dopo, non posso non ammettere che il film non mi è piaciuto. Certo, ci sono centinaia di spunti di riflessione per quello che ho definito un Orto degli ulivi cinematografico, ma più che un film mi è sembrato si trattasse dell’illustrazione per immagini di una esegesi biblica.
Importanti e interessanti le riflessioni citate o messe in bocca ai vari personaggi, su testi di Ravasi e Claudio Magris, ma un testo è un testo e non basta a fare un buon film. La ricerca estetica finalizzata al simbolismo, che tanto mi piace e che ha trovato in passato espressioni mirabili, penso ad esempio ai film di Kieslowski, qui mi è sembrata artificiosa, troppo voluta e ricercata e troppo esibita. O meglio, esibita al punto di riuscirne a vedere tutte le intenzioni del regista anziché gli effetti. Comunque un film che può essere frutto di riflessioni e di discussioni. Forse da rivedere a festival terminato.
A seguire ho assistito alla conferenza stampa di Pippo Delbono. Un artista nel senso forse più puro e straniante del termine, che pensa al cinema come qualcosa che deve distruggere la regola, perché “altrimenti si diventa berlusconiani nello sguardo”. Un salto alla Sala Incontri Excelsior per l’incontro sugli Schermi di qualità e poi via di corsa verso la mia seconda casa, la Sala Perla, dove ho visto un corto del regista armeno Pelesjan e a seguire il film che Pietro Marcello ha girato su di lui, con lui, sulla sua vita, il suo cinema, i suoi maestri., Il silenzio di Pelesjan. Una lezione di storia del cinema, per colmare un vuoto di conoscenza. Molto interessante, spero di poter approfondire il discorso, confidando nella presenza alla proiezione di Enrico Grezzi, e del fatto che dunque ci farà vedere il cinema di questo autore nel suo fuori orario.
A seguire il film, anzi, documentario, che più mi è piaciuto della sezione Orizzonti finora, cioè Would you have sex with an Arab? di Yolande Zauberman. Un modo originale e in fondo semplice di parlare di Palestina e Issale e attraverso una domanda che corre alle orecchie dei giovani di Tel Aviv che vivono la notte. Nelle discoteche, per le strade, alle feste, una semplice domanda porta il discorso sulla situazione arabo-israeliana. Così come viene chiesto agli arabi, nel film, se farebbero sesso con un israeliano. Molto, molto interessante, ascoltare le risposte, vedere le reazioni, che sono anche legate al proprio essere uomo o donna, nel modo di escludere o meno che esista la possibilità. La politica entra o no nel letto? Le risposte negativa sono per la maggior parte date dalle donne, perché forse il loro modo di intendere il sesso è più cerebrale. Gli uomini si danno un tono, vantandosi quasi tutti di averlo fatto, perché in fondo è solo sesso e tutto il resto, per un notte non conta. Ma sarà vero? Da vedere.
E dopo la prima cena vera, seduta in ristorante a mangiare baccalà mantecato, è stata la volta di un film portoghese, Cisne. Un film stralunato, oserei dire, fondamentalmente sulle solitudini degli uomini contemporanei e sulle aberrazioni che raggiungono per colmare i propri vuoti. Abbastanza incoerente nel suo svolgersi, con eccessi un po’ da copione, nel tentativo di fare un film asciutto e molto cerebrale. Troppo, nel suo sforzo di esserlo.
Al quinto film della giornata, dopo le prime 10 scene in cui erano già morti di spada almeno 5 cavalieri cinesi in costume, mi sono rifiutata di proseguire, e la mia prematura uscita dalla sala ha fatto in modo che conoscessi due simpaticissime cinefile doc, Loredana e Donatella, amiche della maschera che ha ormai vinto il premio simpatia di tutto il festival, cioè Surenil (o qualcosa del genere, scusa, era troppo tardi ieri sera!!). Ma vi lascio, un’altra lunga giornata mi attende!!
Vi dico solo che questa mattina al film della Comencini ho fatto il pieno: seduta accanto alla De Tassisi e alla Di Gregorio, all’uscita ero davanti al mitico Caprara che parlava con Ornella Sgroi. Curiosi di sapere del film? Dovete attendere domani!! Anche perchè sto per entrare alla conferenza stampa , e spero di avere cose interessanti da riportare.
Ed è proprio quando le aspettative sono alte che si hanno le delusioni più grandi. Durante il film, come un’innamorata che non accetta di guardare in facci al realtà, cercavo di dirmi e di autoconvincermi che il film non mi stava piacendo perché ero stanca, provata dai giorni di festival, che era comunque lo stile asciutto e corposo di testo di Olmi. Ma scrivendo a mente fredda il giorno dopo, non posso non ammettere che il film non mi è piaciuto. Certo, ci sono centinaia di spunti di riflessione per quello che ho definito un Orto degli ulivi cinematografico, ma più che un film mi è sembrato si trattasse dell’illustrazione per immagini di una esegesi biblica.
Importanti e interessanti le riflessioni citate o messe in bocca ai vari personaggi, su testi di Ravasi e Claudio Magris, ma un testo è un testo e non basta a fare un buon film. La ricerca estetica finalizzata al simbolismo, che tanto mi piace e che ha trovato in passato espressioni mirabili, penso ad esempio ai film di Kieslowski, qui mi è sembrata artificiosa, troppo voluta e ricercata e troppo esibita. O meglio, esibita al punto di riuscirne a vedere tutte le intenzioni del regista anziché gli effetti. Comunque un film che può essere frutto di riflessioni e di discussioni. Forse da rivedere a festival terminato.
A seguire ho assistito alla conferenza stampa di Pippo Delbono. Un artista nel senso forse più puro e straniante del termine, che pensa al cinema come qualcosa che deve distruggere la regola, perché “altrimenti si diventa berlusconiani nello sguardo”. Un salto alla Sala Incontri Excelsior per l’incontro sugli Schermi di qualità e poi via di corsa verso la mia seconda casa, la Sala Perla, dove ho visto un corto del regista armeno Pelesjan e a seguire il film che Pietro Marcello ha girato su di lui, con lui, sulla sua vita, il suo cinema, i suoi maestri., Il silenzio di Pelesjan. Una lezione di storia del cinema, per colmare un vuoto di conoscenza. Molto interessante, spero di poter approfondire il discorso, confidando nella presenza alla proiezione di Enrico Grezzi, e del fatto che dunque ci farà vedere il cinema di questo autore nel suo fuori orario.
A seguire il film, anzi, documentario, che più mi è piaciuto della sezione Orizzonti finora, cioè Would you have sex with an Arab? di Yolande Zauberman. Un modo originale e in fondo semplice di parlare di Palestina e Issale e attraverso una domanda che corre alle orecchie dei giovani di Tel Aviv che vivono la notte. Nelle discoteche, per le strade, alle feste, una semplice domanda porta il discorso sulla situazione arabo-israeliana. Così come viene chiesto agli arabi, nel film, se farebbero sesso con un israeliano. Molto, molto interessante, ascoltare le risposte, vedere le reazioni, che sono anche legate al proprio essere uomo o donna, nel modo di escludere o meno che esista la possibilità. La politica entra o no nel letto? Le risposte negativa sono per la maggior parte date dalle donne, perché forse il loro modo di intendere il sesso è più cerebrale. Gli uomini si danno un tono, vantandosi quasi tutti di averlo fatto, perché in fondo è solo sesso e tutto il resto, per un notte non conta. Ma sarà vero? Da vedere.
E dopo la prima cena vera, seduta in ristorante a mangiare baccalà mantecato, è stata la volta di un film portoghese, Cisne. Un film stralunato, oserei dire, fondamentalmente sulle solitudini degli uomini contemporanei e sulle aberrazioni che raggiungono per colmare i propri vuoti. Abbastanza incoerente nel suo svolgersi, con eccessi un po’ da copione, nel tentativo di fare un film asciutto e molto cerebrale. Troppo, nel suo sforzo di esserlo.
Al quinto film della giornata, dopo le prime 10 scene in cui erano già morti di spada almeno 5 cavalieri cinesi in costume, mi sono rifiutata di proseguire, e la mia prematura uscita dalla sala ha fatto in modo che conoscessi due simpaticissime cinefile doc, Loredana e Donatella, amiche della maschera che ha ormai vinto il premio simpatia di tutto il festival, cioè Surenil (o qualcosa del genere, scusa, era troppo tardi ieri sera!!). Ma vi lascio, un’altra lunga giornata mi attende!!
Vi dico solo che questa mattina al film della Comencini ho fatto il pieno: seduta accanto alla De Tassisi e alla Di Gregorio, all’uscita ero davanti al mitico Caprara che parlava con Ornella Sgroi. Curiosi di sapere del film? Dovete attendere domani!! Anche perchè sto per entrare alla conferenza stampa , e spero di avere cose interessanti da riportare.
Ma Enrico Grezzi é un lapsus? :-)
RispondiEliminaSi un lapis stemperato!!
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