domenica 15 maggio 2011

Quinto giorno da Cannes - Premiata Ditta Dardenne

Beh, il bottino dei film oggi ammonta a quattro titoli, ma non c'è storia. Perchè il primo della giornata è stato Le gamin au velo, dei fratelli Dardenne, ed è anche quello che ha conquistato il podio, almeno per oggi. Perchè come al solito, i nostri registi riescono a realizzare un racconto non realista, ma reale, e i personaggi sono definiti, delineati, anche solo attraverso uno sguardo, un tick, un gesto, ma con grande efficacia, tanto da permettere allo spettatore di entrare nella vicenda e di conoscerli pur non sapendo tanti dettagli sui loro precedenti, su ciò che li ha portati ad essere ciò che sono quando li incontriamo. Ma la cosa più bella è la grande semplicità con tutto viene narrato, in un modo però mai retorico, mai banale, insomma, con quello scatto in più che solo i grandi hanno, riuscendo a dare risalto e valore alle cose più piccole, apparentemente più insignificanti.. Non c'è bisogno di grandi artifici, di trovate originali a tutti i costi, di effetti speciali. Un ragazzino, una bicicletta, un padre latitante e vigliacco, una parrucchiera. Ecco a voi, servita, una prelibatezza cinematografica. Come si dice sempre degli abiti da sposa (ma stavolta è vero!!ndr): semplice ma bello! Aggiungere altro mi sembra quasi superfluo, se non un affronto alla bellezza del film che va "semplicemente" visto. Da non perdere!!!!!!!!!!!!!!

I successivi tre titoli sono tutti all'interno della Quinzaine des realisateurs e mi hanno visto presente al Theatre Croisette dalle 14 alle 2130. Probabilemnte da domani chiederò una bradina per rimanere direttamente a dormire in sala!
Il primo della lista è En Ville o Iris in bloom di Mrejen e Schefler. Tanto per cambiare tema (ndr!), si tratta fondamentalmente di una storia di formazione di una giovane ragazza (qui siamo un pò oltre l'adoloescenza, ma davvero di poco e quest'anno pare che non si sfugga dall'argomento, in qualunque sezione del festival, come detto già ieri). Qui siamo alle prese con Iris, che in attesa di decidere se andare a vivere con il suo pseudo-ex ragazzo a Parigi, incontra e intrattiene una relazione non meglio identificata con un fotografo, molto più adulto, che percorre il mondo con tanto di compagna ufficiale cercando di cogliere nei suoi scatti quei luoghi che secondo molti sono privi di una loro identità: rotonde, cartelli stradali, impalcature di palazzi in costruzione e via dicendo. Insomma, un film "intellettuale" o meglio, io direi, "intellettualoide", perchè i dialoghi filosofici sui grandi o piccoli sistemi (cito: ma le donne sono il futuro degli uomini?; Rigetto ogni tipo di ordine (riferito ai libri) - ma come li trovi?-Non sono io che li trovo ma loro che trovano me; La paura più grande è di ritrovarmi un giorno a essere diventata ciò che ora disprezzo etc etc) non giustificano i vuoti, anzi, io direi le voragini di sceneggiatura che ci sono...o meglio, forse il problema è che non c'è una sceneggiatura, nel senso comune del termine. La protagonista, insomma, vaga da una situazione all'altra senza una precisa consapevolezza di esistere, ma quasi in uno stato di tranche che la porta ad avere uno sguardo che guarda oltre, lontano.....troppo lontano, e infatti il film inciampa in una realtà che non riesce e non vuole rendere, ed un oltre, un livello di astrazione di cui però, purtroppo, non riesce a rendere le profondità.
Il successivo film è stato Play, di Ostlund. Il film secondo me è fatto benissimo, grande l'idea di raccontare la realtà di una società attraverso il racconto parallelo di due realtà stidenti tra loro, riuscendo, attraverso il gioco dei contrasti, a mettere in evidenza ciò che si vuole dire, ma il problema è la lunghezza del film. Probabilemnte a scuola non ci sono più i professori di un tempo, che raccomandavano, per quel che riguarda i temi, di essere "brevi, concisi e concettuosi). Perchè arrivati alla fine della prima ora di film, la storia, il confronto e le dovute deduzioni erano già state sviscerate (bullismo in una società apparentemente civile, corretta fino all'estremo, ma forse formale nella sua correttezza e soprattutto cieca di fronte ai drammi, anche qui, delle giovani generazioni di adolescenti), e nella seconda ora si è assistito ad una dilatazione, ripetizione di quanto detto, con effetti didascalici e ridontanti....pleonastici, avrebbero detto i bravi professori già citati. Insomma, un bel film all'interno di un film troppo troppo lungo rispetto a quel che vuole raccontare.
Il quarto ed ultimo film della giornata è stato Code Blue. Un cartello fuori del cinema avvertiva della presenza di scene che avrebbero potuto urtare la sensibilità degli spettatori, stessa avvertenza data dalla regista prima della proiezione, una collega mi aveva avvertito di non mangiare (e comunque chi ne avrebbe avuto il tempo!) prima del film per la crudezza delle sue scene. Beh, forse ormai sono abituata a vedere di tutto, non so, ma certo che alcune scene sono fortissime, difficili, oltre i limiti, così come lo è la storia del film, ma ho visto di peggio (e chi era al cinema a Bologna con me lo scorso novembre, fino alle due di notte, sa a cosa mi riferisco!). Stiamo parlando di una solitudine, che però sfocia in ossessione, in delirio (ci sono momenti in cui non si capisce cosa è realtà e cosa visione ossessiva), in omicidio attraveso inizioni letali ai malati terminali (la protagonista è un'infermiera), in una distorsione del sesso che porta un uomo e una donna a non riuscire a vivere un rapporto sessuale, e a dover ricorrere alla masturbazione anche in presenza di un partner perchè impossibilitati a vivere in maniera "naturale" un atto sessuale. Perversione, ossessione, masochismo, autodistruzione. Forse, non sono le scene quelle che possono urtare la sensibilità dello spettatore, ma il messaggio che portano con sè, se vi si ferma l'occhio della riflessione. Comunque, il film si segue benissimo, ed è girato davvero bene, con grande attenzione e capacità. Voglio riportare una sola battuta, che ho trascritto perchè riuscitissima. In un momento di crisi la protagonista si interroga sui suoi errori, sul senso del peccatto e l'anziana con cui sta conversando le dice: "Go to the church: they are in the forgivness business!". Ed una notazione: i dialoghi sono ridotti all'osso, il film è per la maggior parte del tempo silenzioso, almeno di dialoghi, se non di rumori. E quando c'è silenzio sullo schermo, all'improvviso quasi tutti gli spettatori vengono presi da tosse convulsa....una coindicenza, o l'imbarazzo di dover dare la parola al silenzio?
Lasciandovi a questa profonda riflessione, vi informo solo che per domani ho l'invito per la proiezione delle 1930 del nuovo film di Malick..presenti in sala: Brad Pitt e Sean Penn, oltre al regista, naturalmente! E anche una seconda mise serale giustifica il peso della valigia! Elena Mascioli per Farnese CinemaLab

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