venerdì 13 maggio 2011

Terzo giorno da Cannes - Jeanne captive

La giornata non è ancora finita (vi scrivo all'una di notte!). Il mio "amico" Nanni ha avuto la proiezione del suo Habemus Papam, ma tutti gli italiani presenti a Cannes lo avevano già visto, e allora parliamo degli altri film visti oggi.

La giornata non si è aperta così bene come ieri. The Other side of Sleep della Daly è un thriller, direi psicologico, che, per dirla brutalmente, mi ha annoiato. Troppo cupo, troppo incentrato sulle ossessioni, gli incubi , il sonnambulismo pericoloso, le punizioni corporali e le uscite di matto di una giovane ragazza...di cui però non si danno grandi spiegazioni, se non nella morte violenta accaduta 20 anni prima, analoga a quella di una ragazza del posto nei giorni in cui si svolge la storia, di una madre che Arlene non ha quasi conosciuto. Sguardi inebetiti, silenzi che vogliono essere carichi di qualcosa ma che risultano indecifrabili, acceleratore premuto sulla recitazione della protagonista, che però ho visto con lo stesso sguardo alla conferenza stampa .(?) Manca soprattutto una buona scrittura, secondo me, il resto non poteva colmare tale vuoto. Alla fine della proiezione il silenzio di tomba di una sala inebetita ha parlato più di mille recensioni...



Ma per fortuna il secondo film della mattina ha impresso una svolta rispetto al precedente. Sto parlando di Jeanne Captive, or The Silence of Joan di Ramos. Un film in costume, siamo nel 1430, e la storia parte dal momento in cui Giovanna d'arco si getta della torre dove è prigioniera. Sopravvissuta, verrà imprigionata nuovamente e venduta agli inglesi, prima di finire sul rogo. Ma quello che il regista è andato ad indagare non è tanto la vicenda storica, quanto la vicenda umana di Jeanne, e soprattutto il suo rapporto con gli uomini che incontra, comportandosi conseguentemente. "My men decided what you are for them; a witch to burn" dirà un comandante inglese ad un certo punto. Ma non è per questo che Jeanne tace. Il suo silenzio corrisponde a quello delle voci che in precedenza l'avevano accompagnata. "Without my voices, I'm nothing" dirà ad un certo punto. Jeanne si sente abbandonata da quel Dio che ritroverà solo di fronte all'immensità del mare, e sarà solo allora che troverà voce il suo coraggio, consentendole di percorre il suo cammino di croce.
A capire ed urlare la donna che Jeanne era veramente sarà un altro uomo, un predicatore (lo splendido, come sempre, Amalric!),che così riassumerà la storia della donna: "Il cuore di Jeanne, era tutto quello che voleva offrirvi!". Il regista ha curato tutto personalmente, anche la fotografia, e speriamo che continui a farlo visti i risultati. Mentre guardavo il film, estasiata, mi veniva in mente un solo nome: Ermanno Olmi, e mi tornavano alla mente le splendide immagini de Il mestiere delle armi. Ma anche la stessa attenzione ai dettagli della natura, alle piccole creature e ai movimenti più belli ed impercettibili. Luce bianca in esterno, luca calda solo su Jeanne che viaggia dentro il carro, il buio illuminato solo dalle fiaccole, o da una candela, le riprese del basso dei cavalieri, le campane e lo stridore dei carri, insomma una fotografia ed una regia che parlano ancor più dei dialoghi. E poichè siamo al cinema, e quello delle immagini è il suo linguaggio, evviva!!! Insomma, avete capito o no che questo film mi è piaciuto molto?

A ruota è venuto il tedesco Above us only sky di Schomburg, già premiato alla scorsa Berlinale, ma che ancora non ha distribuzione in Italia, come mi ha detto il bel tenebroso responsabile della Bavaria Film international. Un film che ti spiazza, che, come dice Camilleri vada fatto nei gialli, non dà più informazioni allo spettatore di quelle che ha la protagonista, e quindi permette di sentire, di assumere su di sè, il trauma vissuto dalla protagonista. E si va alla scoperta, attraverso una regia che spesso incornicia l'immagine all'interno dell'inquadratura (come piace tanto a me!) degli strani percorsi che una persona può seguire per cercare di curare le proprie laceranti ferite. E siccome non si può vivere in un paese con un cielo grigio, la risposta è l'andare a sud, a Marsiglia, per esempio, dove c'è sempre il sole ...o almeno, quella che conta è la speranza che possa splendere davvero in una vita oscurata dal dolore. Bello e intenso.

Last but not least, l'islandese Volcano di Runarsoon. Il titolo può trarre in inganno. Il Vulcano si trova sull'isola da cui i protagonisti vengono, e a cui, in un certo senso, torneranno, ma la storia è semplicemente una storia d'amore. Non di adolescenti, non di giovani, non in crisi. Ma è la storia di quell'amore più profondo, più intenso, quasi incomprensibile, che unisce un uomo e una donna da 40 e più anni...nonostante l'uomo sia un intrattabile, con un carattere irascibile, tanto che gli stessi figli si chiedono il perchè dell'amore della madre verso quest'uomo. Ma ques'uomo dimostrerà di poter superare sè stesso, il proprio carattere, i propri limiti, e le abitudini di una vita, per soccorrere, curare, amare, senza riserve, la sua Anne. Anche qui molti giochi di specchi, di immagini non riportare direttamente, di sguardi dell'autore (e quindi dello spettatore) attraverso scorci, porte semiaperte, cornici all'interno delle inquadrature. E soprattutto primi piani, ma più spesso profili, che volgono lo sguardo verso un dove che ci viene il desiderio di capire, di scoprire guardando il film.Fino all'applauso finale, liberatorio di quel dolore e l'esperienza di aver visto sullo schermo cosa è in grado di fare l'amore di fronte al dolore.
Mi pare tutto per oggi....vi sembra poco?

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